Ci sono viaggi dal potere magico, che in pochi chilometri ti catapultano a distanze siderali, immensamente lontane sia dalle nostre consuete percezioni del paesaggio e dalle nostre abitudini di vita, sia dalle rotte dei turismi esotici. Finalmente l’estate del 2019 ci offriva un lungo fine settimana, per esplorare una parte della Croazia da troppo tempo percorsa solo nella mente: il Lonjsko Polje, con destinazione Čigoč, il paese delle cicogne, poco più di trecento chilometri e poco meno di quattro ore di viaggio da Gorizia. Con oltre cinquecento chilometri quadrati di superficie, il Lonjsko Polje (“campo di Lonja”) è la più vasta area umida protetta della Croazia e del bacino del Danubio, nella regione geografica della Posavina: più precisamente è un’impercettibile valle adagiata lungo la Sava nella Županija (Contea) di Sisak-Moslavina, che si estende da Sisak, una settantina di chilometri a sud-est di Zagabria, fino a Jasenovac, ai confini con la Bosnia ed Erzegovina. È un paesaggio “dinamico”: bisogna immaginare questo territorio come un’enorme cassa di espansione naturale, destinata ad accogliere le acque della Sava durante le piene primaverili. I prati, allora, si trasformano, diventano immense paludi, permettendo alle canoe di scivolare attraverso i boschi di querce, in una luce surreale. È la stagione delle cicogne, che arrivano dalle regioni calde, per stanziare da queste parti fino ad agosto, quando immensi prati grassi, mossi dai movimenti di migliaia di rane, si offrono come pascolo a specie autoctone, tra cui il cavallo di Posavlje o il maiale di Turopolje, buongustaio di ghiande. È un Eden in fermento, dolce e sublime, vasto e luminoso, un paesaggio anfibio di rettili e di libellule, di spatole e aironi, di lucci e pesci gatto che, impanati, diventano specialità della cucina tradizionale. L’immensità e la solitudine di questa pianura primordiale, sono interrotte da paesini disposti lungo un argine, villaggi che annegano nel buio e nel silenzio di notti percorse da rare automobili. Li unisce una strada tortuosa di una sessantina di chilometri, un meandro di asfalto sottratto alle insidie dell’acqua e della vegetazione palustre, che s’insinuano nell’umano con la loro natura frattale: in quasi due ore d’auto nessun bar o supermercato, solo qualche piccolo pekara (panificio), un modesto ufficio turistico e due o tre agriturismi. Quando siamo arrivati a fine agosto, le cicogne ci avevano già tradito, erano migrate altrove. I nidi vuoti posati sui comignoli e su rustici pali della luce, anche nella loro assenza, ci avevano tuttavia regalato l’immagine struggente di un altro mondo, ancora legato ai suoi malinconici riti stagionali. Eravamo giunti a Čigoč dopo aver percorso l’autostrada fino a Lubiana, per poi abbandonarla e arrivare in Croazia lungo la magnifica valle della Krka. Avevamo attraversato un pezzo di Mitteleuropa collinare: pendii coltivati a vite; solide e sobrie cittadine d’impronta barocca, con case e palazzi dalle tinte pastello, a Novo Mesto e Kostanjevica na Krki, la piccola “Venezia della Slovenia”. Avevamo sostato su ponti, sorvegliati da castelli, a Žužemberk e a Otočec. Posti rassicuranti e famigliari, ai quali ci si abitua fin da Cormòns e da Gorizia. “Sfociati” nella grande pianura a sud-est di Zagabria e dopo l’inquietante immersione in una fitta foresta di querce attraversata da un’autostrada solitaria, si era parato davanti a noi il paesaggio della Contea di Sisak-Moslavina, lontano anni luce da quello che lo aveva preceduto. Si attraversava una languida pianura costellata di case tradizionali di legno, molte risalenti al XVIII-XIX secolo, che a un profano potrebbero sembrare quasi isbe russe e i cui pencolanti tetti naïf sembrano destinati ad accogliere la prole delle cicogne. Queste abitazioni, inizialmente isolate e disperse nella disordinata periferia di Sisak, a mano a mano che si procede nel Lonjsko Polje si raggrumano in piccoli villaggi fuori del tempo, dai nomi in genere brevi e dolci: Gušće, Čigoč, Mužilovčica, Lonja, Krapje… È un mondo a sé, poco frequentato, con camere che odorano di rovere, drappelli di oche e di galline che da un momento all’altro potrebbero librarsi nell’aria come in un quadro di Chagall; commoventi crocifissi lungo la via maestra; anziani legati a una terra spopolata, che ancora resistono e ti salutano gentilmente per strada; piccoli musei etnografici custoditi in dimore private, dove ogni oggetto è accarezzato da generazioni, raccontato agli ospiti in croato o, quando la lingua non riesce ad arrivare, con la pazienza di gesti e sorrisi che cercano di colmare la distanza. È un mondo che, sotto la sua naturale parvenza liquida, nasconde una “liquida” e drammatica storia di frontiera, svelando nelle sue pieghe e nelle sue singolari architetture spontanee l’appartenenza a un immaginario che esce dai confini di questa parte della Mitteleuropa, e appartiene a un archetipo d’est portato forse dalle luci del Danubio o dai vasti silenzi della pianura pannonica, da luoghi che potrebbero essere Serbia, Polonia, Romania, Ucraina, Russia…

Una mappa dell’Impero austro-ungarico nel 1914. La regione cerchiata corrisponde al territorio del Lonjsko Polje nell’attuale Županija (Contea) di Sisak-Moslavina. Come si nota siamo ai confini con la Bosnia ed Erzegovina

Contea Principesca di Gradisca e Gorizia
Città libera imperiale di Trieste
Margraviato d’Istria

Lavoro derivato da mappa originale di Ludovic Lepeltier-Kutasi, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

Il Lonjsko Polje corre lungo il confine con la Bosnia ed Erzegovina e per molto tempo è stato parte della Vojina Krajina, la “Frontiera Militare” dell’Impero austroungarico: un cordone difensivo creato nel Cinquecento per fermare le invasioni degli Ottomani. Questa funzione s’intravede ancora in villaggi come Krapje, dove la severa spontaneità delle case di legno convive con il rigore della loro disposizione a intervalli regolari, secondo i dettami asburgici. La Frontiera, nel corso dei secoli, fu progressivamente colonizzata da emigrati sia croati, sia serbi, sia provenienti da altre parti dei Balcani meridionali, slavi e valacchi, spesso cristiani ortodossi, soggetti al Patriarcato serbo. Si creò così una sorta di nerbo serbo-croato dell’esercito austroungarico, che finì per improntare le popolazioni della Krajina, compresa quest’area del Lonjsko Polje. Ne conseguirono conflitti etnici, come quelli durante la Seconda guerra mondiale, quando fu creato dai nazisti l’Ndh-Nezavisna Država Hrvatska lo “Stato indipendente di Croazia”, e questa zona ospitò campi di concentramento gestiti dagli ustascia. Tra questi, quello di Jasenovac, dove furono internati serbi, ebrei, croati antifascisti e rom, e sterminate almeno ottantamila persone, in prevalenza serbi e rom. Anche la guerra della Jugoslavia degli anni Novanta portò nuove tensioni: molte famiglie, in particolare serbe, abbandonarono ancora una volta i propri villaggi, contribuendo a un progressivo processo di spopolamento che ha lasciato segni pesanti, nonostante successivi rientri. Il censimento del 2001 ha evidenziato la presenza di quasi un 12% di serbi nella Županija (Contea) di Sisak-Moslavina, ma non mancano bosniaci, rom, cechi, albanesi, ucraini, slovacchi, sloveni, italiani, eredità di questa frontiera liquida della Mitteleuropa. È un mondo di struggente bellezza ma anche di crescente fragilità, minacciato da lacerazioni e instabilità, con il rischio della perdita di un’eredita antropologica e culturale accelerata dall’abbandono del territorio. Un articolo dall’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa di Vladimir Jurišić del 5 maggio 2017, segnala l’esistenza della cosiddetta “mafia delle isbe”: le case di legno della regione della Barovina e di Kordun, vicina al Lonjsko Polje, sono smontate illegalmente (anche in una sola notte) e vendute a caro prezzo nel mercato nero. Si ritrovano, spesso, ricollocate nelle proprietà di ricchi committenti in improbabili località dello Zagorje o della Slavonia o, peggio ancora, della Dalmazia. Un fenomeno di delinquenza che sta depauperando il patrimonio di architetture tradizionali di questa regione. A questo si aggiungano gli ingenti danni del terremoto di Petrinja del 29 dicembre 2020, con epicentro nella cittadina alle porte di Sisak, passato quasi inosservato nel pieno della pandemia. La civiltà unica di questa parte d’Europa (e di Mitteleuropa) è così messa a rischio da una concomitanza di eventi che vanno presi in seria considerazione. Anche se il riscaldamento climatico sta riducendo gli spettacolari allagamenti primaverili del Lonjsko Polje, probabilmente le cicogne continueranno a fare rotta a Gušće, a Čigoč, a Lonja, ma quali comignoli e, soprattutto, quale umanità troveranno da quelle parti tra qualche anno? È una domanda urgente, che non riguarda soltanto questo territorio meraviglioso.

Tutte le foto, dove non diversamente indicato, sono dell’autore.