La facciata della Locanda da Sandro, con i suoi stucchi rococò: un angolo prezioso della Gorizia mitteleuropea.

Entrando nella Locanda da Sandro la temporalità sembrava relativizzarsi. Fuori un mondo globalizzato e smarrito nonostante i tigli goriziani (profumati di primavera, nella memoria olfattiva imperial-regia), lo sfondo delle colline contese e ora abbracciate, l’incombente castello di Gorizia. Dentro il familiare albergo nella casa “degli arabeschi” o “degli stucchi” di via S. Chiara, originariamente di proprietà dei Strassoldo, poi dei de’ Grazia, passata ai Coronini di San Pietro, che nel ’19 la rimisero in sesto dopo che fu vittima di contrapposti cannoni, ti accoglieva la Signora Elsa Cociancig, classe 1921. Dopo il viaggio lungo e faticoso per i soci extra muros dell’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei (chi scrive figura tra i lombardo-veneti), l’arguta ospitalità di Frau Elsa era il corroborante più efficace. Già, perché giunta alle soglie del secolo di vita, dava ben più di un punto a un cinquantenne. Era per me una piccola gioia rivederla, scommettendo quasi più sulla mia longevità che sulla sua. La sióra Elsa Cociancig, vedova Pellizzon, figlia di Alessandro e Lucia Ferlitsch di nazionalità austriaca (dettaglio di cui Elsa andava fiera), ci ha lasciati alla fine di agosto, a pochi giorni dal compimento di quel secolo che lei, come pochi, ha incarnato e sperimentato in una città simbolo del nostro Novecento. Elsa era una donna colta. Insegnante di lingue per molti anni, lettrice attenta dell’attualità e acuta interprete di un passato che aveva personalmente vissuto, aveva ereditato dal padre la gestione della locanda, da lui assunta nell’anno 1927. Significativo fu per decenni anche il suo impegno sociale e nell’associazionismo. Al contempo era un’ospite esemplare, cuoca apprezzatissima di un gulasch celebratissimo oltre che di altre robuste pietanze adatte a palati pratici di confini enogastronomici mitteleuropei, come quello carinziano-giuliano-sloveno, che mai conobbero cortine ideologiche. E dello stile soprattutto carinziano, complice mamma Lucia, la signora Elsa era espressione fiera e generosa, alternando nell’eloquio con cui intratteneva chi albergava “da Sandro” la lingua friulana, il “veneto franco” e, naturalmente, il tedesco. Patriota convinta e nostalgica, non le risparmiava agli internazionalisti della prima e dell’ultima ora; né temeva il tabù o l’anatema contro ogni revisionismo, lei che la l’occupazione militare tedesca tra il ’43 e il ’45 aveva conosciuto in prima persona, non senza sospetti e incidenti, per la sua perfetta conoscenza della lingua materna in mesi di feroce incomprensione. Elsa aveva una visione globale della storia della sua terra: non amava facili irenismi né tanto meno contrapposizioni viscerali e irrisolte. Nella locanda campeggiavano ovunque memorie della Monarchia. Non certo quella sabauda, bensì quella absburgica: da cornici di molteplice foggia il buon Imperatore Franz Joseph accompagnava nei corridoi col suo benevolo sguardo ceruleo l’ospite nelle stanze assegnate. Tutto nella casa di Elsa Cociancig era così gemütlich, e tutto era anche così schietto e familiare: una sintesi perfetta della Mitteleuropa a sud delle Alpi, in vista del golfo di Venezia, nel proverbiale sorriso di Elsa.    (Alberto Castaldini)

Il roseto della Locanda da Sandro, un intimo scorcio di poesia goriziana.