Gradisca nell’età moderna

Una mappa di archivi per esplorare una storia affascinante e complessa

Con questo progetto innovativo e destinato a un’approfondita consultazione attraverso la piattaforma KADMOS, ICM mette a disposizione di un ampio pubblico una mappa (in potenziale evoluzione) di Archivi che offrono fonti e informazioni per ricostruire la storia di Gradisca nell’Età Moderna. Cliccando sui nomi dei luoghi, è possibile accedere a note introduttive sui relativi Archivi consultati, in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Austria e Repubblica Ceca. Per molti di questi Archivi sono stati anche redatti dettagliati inventari sullo specifico argomento, scaricabili in formato PDF (versione italiana).  

La possibilità di fruire del traduttore automatico plurilingue integrato nel sito rende, inoltre, la consultazione accessibile in ogni parte del mondo, offrendo a studiosi e appassionati un prezioso ed efficace strumento di ricerca senza frontiere.

Sotto: l’elenco dei luoghi dove sono collocati gli Archivi. Si comincia da Gradisca d’Isonzo e da varie località del Goriziano e del Friuli, per allargarci progressivamente verso aree più lontane della Mitteleuropa.

Sfoglia il volume monografico “Da Worms alla fine dello Stato Gradiscano”, di Vanni Feresin e Luca Olivo, edito da ICM e dedicato alla storia di Gradisca d’Isonzo nell’Età Moderna. 

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DA WORMS ALLA FINE DELLO STATO GRADISCANO
Conflitti, dinamiche e relazioni di una realtà di confine

A Worms, geograficamente distante dall’Isontino, nel 1521 non si scrive soltanto una significativa pagina nell’ambito della storia della Riforma, ma si decide altresì il destino di Gradisca. Non è la prima né sarà l’ultima volta in cui la storia della fortezza si interseca con quella più nota, forgiata dalle grandi potenze europee. Eretta nella seconda metà del Quattrocento dalla Serenissima su terre de facto appartenenti al conte di Gorizia, la roccaforte viene conquistata nel 1511 dalle truppe imperiali e nel 1521 assegnata definitivamente agli Asburgo.

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Il periodo che va dal 1521 al 1647 necessita certamente di ulteriori approfondimenti: la fortezza si trova inserita nella compagine territoriale asburgica, ha rapporti diretti con Graz e Vienna, gode addirittura di proprie leggi: le Consuetudines Gradiscanae. Si tratta di un’entità con caratteristiche specifiche, baluardo ultimo di un confine indefinito, frastagliato, carico di rivalità e conflitti, ma anche luogo privilegiato di scambi ed elaborazione di soluzioni compromissorie. Gradisca, a poco a poco, comincia a definire la sua identità grazie a capitani come Nicolò Della Torre, Giacomo d’Attems e Francesco Formentini. Negli anni 1615-1617 la roccaforte è nuovamente al centro di eventi bellici, la Guerra degli Uscocchi.

Qualche decennio più tardi, nel 1647, si apre una nuova fase: il capitanato di Gradisca viene innalzato al rango di una contea principesca e ceduta agli Eggenberg, una casata di rango principesco molto influente alla corte imperiale. A Gradisca nasce un’assemblea cetuale, emerge la straordinaria figura di Francesco Ulderico Della Torre, governante lungimirante ed innovatore, politico, fine letterato e diplomatico di altissimo profilo. Si afferma altresì la potente famiglia De Fin, di origine triestina. Gradisca subisce uno sviluppo urbanistico ed architettonico, vengono realizzati il monte di pietà, la loggia dei mercanti, sorgono palazzi e chiese, si creano opere d’arte, nascono manifatture, si innestano peculiari fenomeni migratori, fiorisce la comunità ebraica.

Per tutto il periodo, confini permeabili danno vita ad una “terra di mezzo” dove prosperano contrabbandieri, banditi e mediatori di vario genere. Gravita intorno a Gradisca un territorio frastagliato tra Tagliamento e Isonzo, che comprende numerose comunità. Anche Aquileia, antica sede patriarcale. Nel 1717 si estingue la discendenza maschile degli Eggenberg, ma Gradisca riesce a mantenere la propria indipendenza rispetto a Gorizia, finché nel 1754 Maria Teresa non decide altrimenti fondendo le due contee.

La storia, e le storie, non si scrivono senza gli archivi; è grazie alla scoperta di nuove fonti, come di nuove prospettive da cui considerarli. Alla base di una guida alle fonti disponibili, a dir meglio una mappa, dato che le fonti per la storia moderna di Gradisca sono disperse in istituti di conservazione anche lontani. Sarà una guida archivistica tematica, che elenchi il materiale relativo all’oggetto della ricerca. Comprende: introduzione, elenco dei materiali individuati, indici (onomastico, toponomastico, delle istituzioni). L’introduzione inquadrerà il tema della ricerca; farà il punto sulla situazione degli studi in argomento, partendo da bibliografia e sitografia aggiornate e in particolare attente a edizioni di fonti e studi apparsi in letteratura, specie se comprensivi di appendici documentarie; esporrà i criteri adottati per le rilevazione delle fonti e la loro descrizione che, per essere maggiormente condivisa, seguirà gli standard internazionali Isad (G). La redazione avverrà, in considerazione del bacino territoriale, nelle lingue seguenti: italiano, inglese, tedesco e ceco. All’interno della mappa troveranno posto sia una pubblicazione monografica dedicata al periodo storico sia gli interventi di studiosi e conservatori dell’Europa centrale.

La mappa ha valore di fonte di studio e potrà essere ampliata costantemente.

Incisione acquerellata tratta dal Weiss-Kunig di Hans Burgkmair L'assedio della cittadella di Gradisca da parte dei veneziani. In primo piano l'accampamento a sinistra le truppe del Re Bianco (imperatore Massimiliano) si impadroniscono della bandiera di San Marco. Anno 1516, collezione privata. Il termine Re bianco si riferisce alla bianca armatura che Massimiliano indossava nei tornei
Frontespizio di una patente nobiliare del principe Giovanni Sigfrido d'Eggenberg a favore di Joachim Gottrid e Jacob Philip Ebner. Si legge tra i vari titoli anche Duca di Krumau, principe di Eggenberg, conte di Gradisca, conte di Adelberg. XVII secolo

Archivio Storico della Parrocchia di Gradisca d’Isonzo

Vicissitudini storiche
Gradisca è citata per la prima volta nel Rotolo Censuario del Capitolo di Aquileia del 1176, dove sono elencate le diverse ville – Mainizza, Gradisca, Villanova, Peteano, Bruma – dipendenti da Farra e sottoposte a censo. Questo documento permette di ipotizzare che il territorio fosse abitato da famiglie in prevalenza di origine slava, il che giustificherebbe anche l’origine del toponimo. Secondo diversi studiosi infatti la radice di Gradisca richiamerebbe un “luogo fortificato”, grad o la presenza di rovine di un preesistente castello, non confermata da reperti archeologici. Molto probabilmente quindi nel secolo XII, come in altri casi vicini, si insediò in questa zona un ceppo slavo che ripopolò il territorio, in seguito alle devastazioni degli Ungari. Nel documento citato si evidenzia come Gradisca e Bruma, oggi unite, fossero entità distinte: la prima corrispondente all’attuale centro storico, la seconda denominata più tardi anche Mercaduzzo in riferimento allo svolgimento del mercato, aperto nella prima metà del secolo XVI. Bruma ha certamente un’origine romana, confermata dai numerosi riscontri archeologici che ipotizzano una postazione militare romana.

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Nella donazione di Ottone I al patriarca di Aquileia del 967 non compare il nome della località, ma è indicato il “castrum quod vocatur Farra cum omnibus suis pertinentiis”, il che ha permesso di ipotizzare come tra le diverse pertinenze fosse compresa anche Gradisca, citata esplicitamente nel Rotolo Censuario. A questa prima donazione, che segnò la dipendenza del territorio dal patriarcato di Aquileia, seguirono diversi atti simili attraverso i quali i patriarchi avviarono l’opera di ripopolamento delle terre devastate dalle suddette incursioni. Il diritto di avvocazia, la difesa legale dei patriarchi e il titolo della giurisdizione sui sudditi di loro competenza, era esercitato dai conti di Gorizia che lo detennero dal secolo XII al secolo XV. La minaccia delle incursioni turche portò al rinforzo delle linee di difesa da parte della Repubblica di Venezia, che nel 1420 aveva occupato il Friuli. Tra il 1479 e il 1483, infatti, venne edificata una cinta muraria con tre torri, poi se ne aggiunsero altre due e venne aperta l’attuale Porta Nuova, anche detta di Farra e Gorizia. Alla morte dell’ultimo conte di Gorizia nel 1500 la contea passò alla casa d’Austria che, con Massimiliano d’Asburgo, conquistò alcuni possedimenti occupati dai Veneti tra i quali Gradisca: nel 1511 da fortezza della Repubblica di Venezia essa diventò un avamposto difensivo dell’Austria. Nel 1546 iniziò la costruzione del castello al cui interno trovò posto il Palazzo del Capitano. Tra il 1615 e il 1617 scoppiò la Guerra Gradiscana, anche nota come guerra contro gli Uscocchi, sudditi imperiali che compiendo incursioni piratesche ai danni della Repubblica di Venezia rendevano insicura la navigazione sull’Adriatico. La pace di Madrid del 1617 sancì la fine della guerra. Nel 1647 Gradisca divenne sede di una Contea principesca, retta dai principi di Eggenberg a condizione che all’estinzione della famiglia la proprietà della contea tornasse alla 3 Casa d’Austria. Tra il 1647 e il 1717 la Contea di Gradisca visse un periodo di splendore e vennero costruiti molti edifici pubblici, come la Loggia dei Mercanti e il Monte di Pietà. Su istanza del Capitano di Gradisca (il conte Luigi Antonio della Torre, nipote di Ulderico e figlio di Filippo Giacomo) dal 1689 Sant’Antonio venne eletto protettore della città. Nel 1744 protettrice della fortezza divenne la Madonna Addolorata. Nel 1752 Gorizia venne eretta in Arcidiocesi Metropolitana, dopo l’avvenuta soppressione del Patriarcato di Aquileia (6 luglio 1751), e l’anno successivo l’Arcivescovo conte Carlo Michele d’Attems fece la prima visita alla città fortificata, come si trova lungamente descritto nelle cronache della Chiesa parrocchiale. Nel 1754 Gradisca venne annessa alla Contea di Gorizia con la creazione delle Unite Contee Principesche di Gorizia e Gradisca che, nel 1783, da Giuseppe II furono assoggettate al Governo di Trieste. Nel 1788, con bolla papale, venne decretata l’istituzione della nuova diocesi di Gradisca, vista l’abolizione di quella di Gorizia, e fu nominato vescovo il conte Francesco Filippo d’Inzaghi, già vescovo di Trieste. Il presule prese possesso della sede il 25 marzo 1789 ma ritornò il giorno stesso a Trieste. La diocesi di Gradisca venne abolita nel 1791 e fu ripristinato il vescovado di Gorizia con il titolo di Episcopus Goritiensis seu Gradiscanus, che permarrà fino al 1988, quando nascerà la diocesi titolare di Gradisca. Nel 1797 Gradisca venne posta sotto assedio e conquistata da Napoleone, ma tornò austriaca con il trattato di Campoformido. Nel 1805 entrò a far parte del Regno d’Italia napoleonico. Fu nuovamente austriaca dal 1814 al 1918, quando fu annessa allo Stato italiano. Gradisca verrà ricordata dopo la prima guerra mondiale quando Maria Bergamas, il 26 ottobre del 1921, nella basilica di Aquileia sceglierà la salma del milite ignoto che verrà poi trasportato al Vittoriano a Roma.
L’Archivio storico

L’Archivio storico della Chiesa del SS. Salvatore (già Ss. Pietro e Paolo) consta di 140 unità di conservazione e 1437 unità archivistiche per un totale di 20 metri lineari

Durante la fase dello spoglio delle carte sono stati individuati tre fondi principali: quello relativo alla Chiesa del SS. Salvatore (già Ss. Pietro e Paolo), che include l’anagrafe e l’amministrazione della Chiesa della B. V. Addolorata (originariamente appartenuta ai Padri Serviti), quello della Chiesa di Santo Spirito detta di Bruma e quello, più recente, della Chiesa di San Valeriano.

Il primo riversamento, che includeva le serie Anagrafe ecclesiastica, Protocolli e Amministrazione della chiesa, si sono potute raccogliere e distinguere le carte relative alle diverse chiese, anche se talvolta si è optato per scelte di unificazione, come nel caso degli Urbari, che sono stati inseriti nel fondo della Chiesa del SS. Salvatore poiché la quasi totalità degli stessi riguardava il Duomo assieme alle chiese filiali.

Per il fondo relativo alla Chiesa del SS. Salvatore la documentazione ha inizio nel sedicesimo secolo, con i registri anagrafici (primo registro dei nati dal 1576) e i numerosi urbari (in numero di 130) dal 1535 al 1883.

I registri anagrafici sono stati suddivisi in due parti: Registri anagrafici antichi, che coprono un arco di tempo compreso tra il 1576 e il 1818 e presentano caratteri estrinseci similari (carta, formato, rilegature usate e coperta in pergamena), e i successivi dal 1818 al 2012.

Seguono gli Status Animarum, compilati in diversi periodi: alcuni suddivisi secondo il numero civico per via, altri seguendo l’ordine alfabetico e un gruppo più recente per zona.

Segue la serie dei Protocolli, i cui registri iniziano nel 1785, che include anche i protocolli decanali.

Infine l’Amministrazione della chiesa che racchiude le sottoserie: Urbari, Libri mastri, Registri contabili del decanato.

Il secondo riversamento dell’Archivio storico della Chiesa Parrocchiale – Decanale di Gradisca d’Isonzo riprende dal primo riversamento la serie numero 3 dell’Amministrazione della Chiesa e si conclude con la serie 9 dedicata alle Cronache. Il fondo si trovava posto in decine di scatoloni e si presentava in maniera totalmente disomogenea e spesso, a causa di vari interventi esterni, il vincolo è stato sciolto. Un primo procedimento adottato è stato quello di separare il carteggio dagli “Atti matrimoniali preparatori” (1730 – 1923) che sono stati inseriti nel primo inventario assieme alle centinaia di atti anagrafici sciolti a partire dalla metà del secolo XIX.

La serie 3 Amministrazione della Chiesa, iniziata nel precedente riversamento con i libri mastri e gli urbari, si completa ora con le Quietanze e pagamenti, i Rendiconti della chiesa parrocchiale e tutte le sottoserie amministrative (registri, rendiconti mutui, amministrazione generale) legate direttamente alla stessa come chiesa filiale (Chiesa della Beata Vergine Addolorata) o come fondazioni amministrate direttamente dal parroco per finalità benefiche, il mantenimento dei poveri, dei sacerdoti, dei cooperatori e della parrocchia (“Fondazione Luigia Masotti”, “Fondazione don Giovanni Battista Coassini”). L’Amministrazione della Chiesa si chiude con l’antico Fondo dei poveri e del “Pio Ospitale” istituti legati strettamente con le attività benefiche della parrocchia e gestiti direttamente dal parroco attraverso le elemosine raccolte nelle varie chiese distribuite sul territorio della città fortificata di Gradisca. Nel Fondo dei poveri trovano posto i numerosi “Libri delle Limosine” a partire dal 1774 fino al 1982 e il carteggio che comprende anche testamenti direttamente convertiti nello stesso fondo, le elemosine raccolte nel periodo quaresimale e le imposte versate. Per quanto concerne il Pio Ospitale (la cui fondazione risale al XV secolo per volontà della Confraternita del Ss. Salvatore, poi nel XVI secolo rifondato e gestito direttamente dalla Chiesa parrocchiale) oltre ai documenti dedicati all’istituzione dello stesso (1768) trovano posto i Rendiconti, le quietanze di pagamento unite agli estratti sommari della gestione contabile a partire dal 1826.

Piuttosto complessa si è rivelata la scelta di produrre una serie specifica dedicata all’Ufficio della Cameraria (serie 4). Essa è strettamente legata alla terza serie ma ha uno sviluppo proprio e una gestione a sé stante molto articolata e composita nel suo insieme, comprendendo infatti la misura di 9 unità di conservazione. Gli atti erano raggruppati in blocchi di diversi anni con numerazione progressiva particolare che non aveva nessun tipo di rapporto con la numerazione protocollare presente nel resto del carteggio. L’Ufficio della Cameraria aveva una gestione propria già a partire dalla metà del Seicento, e dal 1831 gli amministratori (Camerari) iniziano a produrre un registro di protocollo autonomo con numerazione progressiva fino al 1854. Le documentazioni tra il XVII e il XVIII legate ai medesimi affari si trovavano poste accanto agli atti protocollati poiché ad uso delle funzione amministrative e contabili stesse, per questo motivo sono stati inseriti nella serie; in alcuni casi nei singoli fascicoli sono presenti anteatti poiché già inseriti dagli stessi Camerari. Questa serie comprende alcune tipologie tipiche di documentazione amministrativa: beni immobili, beneficio parrocchiale, benefici particolari, fondazioni e testamenti, capitali e obbligazioni, imposte e francazioni, contratti legati alle numerose proprietà parrocchiali, vertenze sulle morosità per i mancati pagamenti, lavori effettuati su beni immobili e proprietà, nonché alcune ulteriori sottoserie particolari gestite direttamente dagli stessi camerari, come i pagamenti per le assunzioni degli organisti e cantori, del sacrestano e una questione legata agli argini del torrente Bisonte (sia la numerazione di protocollo che i caratteri estrinseci dei documenti stabiliscono la loro natura e gestione). La suddivisione così articola della serie è stata una scelta obbligata visto che gli stessi camerari avevano creato decine di fascicoli omogenei, separando i diversi affari ognuno con una denominazione specifica e con l’evoluzione dello stesso procedimento che poteva protrarsi per più anni. Vista la quantità considerevole di fascicoli e tenendo presente l’originaria struttura dell’ufficio si è ritenuto di più chiara comprensione suddividerli all’interno di sottoserie che li raggruppassero per tipologia. La serie si chiude con le normative a stampa a partire dal 1764 utili allo svolgimento dell’Ufficio della cameraria.

La serie 5 comprende gli “Instrumenti” notarili, le cause e le istanze, le vertenze particolari legate a rapporti tra la chiesa e le altre chiese o istituti religiosi (PP. Serviti e Cappuccini) o singole persone. Le documentazioni particolarmente antiche (1680 – 1781) hanno caratteristiche omogenee: si presentano in forma di fascicolo rilegato, sono state ritrovate al di fuori delle normali fascicolazioni e senza alcuna segnatura archivistica. Quindi per tipologia si è scelto di racchiuderle in un’unica serie che si apre con i formulari generici, sempre in forma di fascicolo rilegato, ad uso dell’ufficio parrocchiale.

La serie 6 denominata Fondazioni Sante Messe contiene i registri, le tabelle fondazionali, le lettere fondazionali della chiesa parrocchiale e della chiesa filiale delle Beata Vergine Addolorata a partire dal 1784.

I Beni della Chiesa sono stati suddivisi tra quelli della Chiesa parrocchiale e quelli della Chiesa filiale della Beata Vergine Addolorata e costituiscono la serie 7. All’interno oltre all’autentica delle reliquie, all’organo, alle campane e campanile, vi sono anche progetti ad acquerello relativi agli archi e colonne del duomo, alla cupola mai realizzata, ai banchi della chiesa e loro dedicazioni, al catafalco. La serie si compone anche dai lavori di restauro eseguiti nella chiesa della Beata Vergine Addolorata tra il 1845 e il 1871, con le relative quietanze e pagamenti suddivisi per anno.

La seria 8 è dedicata al Carteggio. In apertura sono state inserite le Notificazioni Arcivescovili dei primi tre Arcivescovi (Carlo Michele d’Attems, Rodolfo Giuseppe d’Edling e Francesco Filippo di Inzaghi) le quali si presentavano riunite in modo omogeneo anche per i caratteri intrinseci ed estrinseci. Nella ricostruzione della serie è stata mantenuta integra la suddivisione originaria per anno. Durante lo spoglio delle carte si è riscontrato uno strettissimo legame con i registri di protocollo, cosa non sempre riscontrabile negli archivi parrocchiali, per cui si è scelto di procedere conservando la struttura amministrativa coeva. Dal 1727 al 1817 le carte sono state suddivise per ordine cronologico tenendo conto che in alcuni anni era presente una numerazione probabilmente legata ad un registro di protocollo non ritrovato. Dal 1818 al 1953 gli atti sono stati rinvenuti suddivisi per anno e tutte le documentazioni presentano una numerazione di protocollo progressiva. Per alcuni anni non è stato ritrovato il registro e in alcuni casi esiste un registro ma senza alcuna corrispondenza (cosa sempre segnalata nelle schede). In un caso particolare dal 1855 al 1859 si sono rilevate tre tipologie differenti di atti (parrocchiali, decanali, amministrativi) corrispondenti a tre registri di protocollo presenti nel fondo: in questo modo è stata possibile la riviviscenza dell’antica struttura archivistica. Gli atti per anno contengono in alcuni casi documenti parrocchiali, decanali e scolastici, descritti molto spesso da una segnatura coeva che specifica la tipologia di documenti e l’anno a cui si riferiscono (ritrovata all’interno delle singole suddivisioni per anno); in altri casi le documentazioni sono o solo parrocchiali o solo decanali, oppure mancano le documentazioni scolastiche che faranno parte dell’archivio aggregato del terzo riversamento. All’interno trova spazio il Carteggio particolare, il Carteggio dei sacerdoti, i Rapporti tra la Parrocchia e l’autorità civile e la serie ottava si chiude con i Rapporti tra la Parrocchia decanale e l’Ordinariato Arcivescovile.

La serie 9 dedicata alle Cronache chiude l’inventario. La serie è composta da 18 unità a partire dal 1740. Il primo cronista fu il sacrestano don Francesco Antonio Moretti che si occuperà della redazione delle cronache fino alla morte, poi i parroci che si susseguiranno nei decenni continueranno, salvo alcune interruzioni, a scrivere la storia della parrocchia e della città anche attraverso articoli di giornale, fotografie e cartoline.

Il terzo riversamento dell’Archivio storico della Chiesa Parrocchiale – Decanale di Gradisca d’Isonzo si apre con la serie 10 Danni di Guerra e si chiude con la serie 15 dedicata agli Archivi Aggregati.

La serie 10 Danni di Guerra è suddivisa in due parti, la prima dedicata ai danni subiti nel conflitto mondiale 1914 – 1918 e la seconda durante il conflitto 1940 – 1945.

La serie 11 dedicata al Nuovo cimitero, nel periodo compreso tra il 1848 e il 1961, contiene progetti e disegni, carte relative all’altare della famiglia Broem spostato dal vecchio Cimitero alla cappella del nuovo. Progetto del 1957 della chiesetta del nuovo cimitero di Felice Stacul.

La serie 12 denominata Beneficio della facoltà (seconda parte) riguarda la gestione dell’amministrazione del beneficio degli anni compresi tra il 1893 e il 1985 con diverse sottoserie dedicate al carteggio, alle fatture, imposte, ai rapporti con i coloni e i contratti.

La seria 13 è dedicata all’Attività pastorale suddivisa in due parti. La parte antica a partire dal 1680 con all’interno la visita arcidiaconale del 1716, le regole per gli esercizi spirituali, la visita pastorale del 1772 le visite decanali degli anni 1791 – 1895, le conferenze decanali 1890 – 1895, il predicatore quaresimale 1785 – 1852, alcuni scritti teologici, orazioni a stampa, la missioni cattolica in America “Fondazione Leopoldina”, le missioni cattoliche in Africa Centrale e le omelie a partire dal 1823. La parte moderna ha inizio dal Congresso eucaristico del 1924, la consacrazione delle famiglie al “Sacro Cuore” del 1933, il carteggio inerente il predicatore quaresimale e il carteggio pastorale, il pellegrinaggio nell’Anno Santo 1950, l’Opera Diocesana Assistenza, il Consiglio Presbiterale, l’ufficio catechistico, le conferenze decanali, le visite pastorali, l’associazionismo cattolico con in particolare l’Azione Cattolica, i libri degli avvisi e le offerte.

La serie 14 dedicata ai Documenti diversi contenenti l’Inaugurazione del nuovo carcere maschile, lo stemma nobiliare dei Salamanca del 1844, alcune copie di bolle pontificie del 1942, cenni storici sulla città di Gradisca, articoli di giornale, fotografie, le elezioni 1948, la scomunica al comunismo del 1949, le elezioni 1951 – 1963 e le liste elettorali del 1961.

La serie 15 Archivi aggregati chiude l’ultimo riversamento e al suo interno si trovano i documenti delle numerose confraternite [Confraternita della Dottrina Cristiana, Confraternita del Santissimo Sacramento, Confraternita del Santissimo Salvatore, Confraternita della Madonna del Monte Carmelo (Carmine), Confraternita del Santissimo Viatico, Confraternita dell’Amore per il prossimo, Confraternita dell’Addolorata, Confraternita del Santissimo Crocefisso, Congregazione delle Figlie di Mari]. La serie 15 presenta anche una ricca documentazione inerente le scuole a partire dal 1774, con un carteggio protocollato per anno a partire dal 1789, le classificazioni degli studenti, gli esami, gli estratti degli esami, prospetti di frequenza e gli esercizi scolastici estivi; questa grande serie si chiude con l’importante attività pastorale svolta dall’oratorio e dal cinema “Coassini”.

Archivio di Stato di Gorizia,
Fondo Cesareo Regio Consiglio Capitaniale delle Unite Contee di Gorizia e Gradisca – Contea di Gorizia, Atti storici del Tribunale (1703-1809) (con docc. fino al 1833)

Il Cesareo regio consiglio capitaniale delle unite contee di Gorizia e Gradisca, conservato presso il Tribunale di Gorizia insieme con altri fondi risalenti all’amministrazione austriaca, fu consegnato all’Archivio di Stato di Trieste, non essendo ancora stato costituito l’Archivio di Stato di Gorizia. Attualmente all’Archivio di Stato di Gorizia si trovano: copia in microfilm (252 bobine) della documentazione dal 1754 al 1777 e pochi atti sparsi, raggruppati sotto la denominazione di “Atti storici del tribunale”, isolati nel corso del riordinamento del Tribunale civico provinciale di Gorizia.

Archivio di Stato di Gorizia
Fondo Coronini-Cronberg

L’Archivio Storico Coronini Cronberg comprende circa in un migliaio di faldoni, contenenti documenti datati dal 1257 al 1990. L’impegnativo lavoro di riordino condotto dopo la morte del conte Guglielmo ha portato a suddividere tale materiale in quattro grandi partizioni, individuate in base ai contenuti e alla cronologia.

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L’Amministrazione corrente riunisce i manoscritti, i dattiloscritti e gli stampati riguardanti principalmente l’amministrazione del patrimonio familiare, risalenti a non più di 40 anni.

I Materiali di Studio raccolgono i documenti databili tra il 1952 e il 1990 strettamente legati alla figura di Guglielmo Coronini e alle sue attività. Vi figurano pertanto stampati, dattiloscritti, riproduzioni fotostatiche da documenti ed edizioni, inviti relativi a manifestazioni culturali, appunti e lettere riguardanti i suoi studi di carattere storico-artistico, come la grande opera storica Gorizia comitale, la collaborazione alle mostre sul Settecento Goriziano (1956), su Giuseppe Tominz (1966), su Maria Teresa e il Settecento Goriziano (1982), ma anche le carte pertinenti alla sua attività all’interno della Commissione araldico-genealogica regionale e del Sovrano Militare Ordine di Malta e i documenti della sezione locale dell’Associazione Italia Nostra, di cui era presidente, oltre a note, schizzi e disegni.

Gli Atti e documenti comprendono tutti i documenti, lettere, libri contabili, atti notarili, che costituiscono il vero e proprio archivio storico Coronini Cronberg, ma di cui fanno parte anche gli archivi ereditati da altre famiglie, come quelli Rabatta, Cobenzl e Cassini, o acquisiti per gli interessi collezionistici di Guglielmo, come gli spezzoni degli archivi appartenuti alle famiglia Attems-Petzenstein e De Grazia, o le raccolte costitute da altri studiosi ed eruditi, come Gaetano Perusini e Ranieri Mario Cossàr. In questo nucleo si trovano quindi documenti compresi tra il 1257 e il 1970, tra cui la pregevole raccolta di pergamene, direttamente legata al progetto di Gorizia Comitale, la grande opera storica dedicata al Medioevo Goriziano, rimasta incompiuta, a cui il conte Guglielmo lavorò per tutta la sua vita.

Queste tre sezioni dell’Archivio Storico Coronini Cronberg sono al momento depositate presso l’Archivio di Stato di Gorizia, sito in Via dell’Ospitale 2, dove sono accessibili alla consultazione.

L’ultima partizione è quella riguardante l’Archivio fotografico che raccoglie fotografie, negativi, lastre e diapositive, fino a un totale di 12.000 unità, risalenti al XIX e al XX secolo, in parte legati alla storia della famiglia e in parte fatte eseguire dallo stesso Guglielmo per motivi di studio. L’Archivio fotografico, ancora in attesa di un riordino e di una catalogazione, è custodito presso la sede della Fondazione Coronini.

Archivio Storico Provinciale di Gorizia,
Fondi Parrocchiali

Il nucleo documentario dell’Archivio Storico Provinciale di Gorizia è costituito dagli atti relativi al governo dell’antica Contea di Gorizia.

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La documentazione prodotta dall’assemblea degli Stati Provinciali, l’istituto di rappresentanza per ceti a cui in età moderna era delegato il governo della Contea analogamente a quanto avveniva nelle altre Province austriache, è conservata nel fondo Atti degli Stati Provinciali suddiviso in due sezioni. La prima sezione comprende i documenti redatti dal passaggio della Contea agli Asburgo nell’anno 1500 fino alla riorganizzazione centralizzatrice promossa da Maria Teresa nel 1754, la seconda sezione include accanto ai documenti successivi al 1754 anche l’archivio della Contea di Gradisca durante il dominio degli Eggenberg (1647-1717).

La documentazione prodotta dalla Dieta e dalla Giunta della principesca Contea di Gorizia e Gradisca, organi dell’amministrazione provinciale autonoma sancita nella riorganizzazione delle Terre della corona asburgica del 1861, è raccolta nel fondo Archivio della Rappresentanza Provinciale; qui è presente anche la documentazione del primo dopoguerra fino alla temporanea soppressione della provincia goriziana decretata nel 1923 dal governo italiano.

Si collega ai fondi provinciali anche l’Archivio dell’i.r. Società Agraria di Gorizia (1765-1914), istituzione definita nei suoi statuti “dicastero tecnico della Provincia”.

Gli altri fondi presenti nell’Archivio Storico sono invece frutto delle acquisizioni fatte dai Musei goriziani in particolare fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento.

Deriva dall’acquisto di archivi familiari il fondo Atti giurisdizionali e privati (secc. XII-XX), in cui sono confluiti in particolare gli archivi dei conti Strassoldo Graffenberg, Mels Colloredo, Coronini di Tolmino e dei principi Orsini-Rosenberg.

Provengono dagli archivi dei geometri e periti agrimensori goriziani i disegni di rilievo e i progetti conservati nel fondo Mappe censuarie (secc. XVII-XX), complementare a quello delle Carte geografiche e militari (secc. XVI-XX).

Rari documenti medievali e della prima età moderna, sia pubblici che privati, si trovano nel fondo Pergamene (secc. XII-XX) e nella collezione di documenti cormonesi Pergamene del «Fondo Fratelli Fonda Savio» (aa. 1326-1584).

L’Archivio Documenti di Storia Patria (secc. XVII-XIX) comprende materiale eterogeneo di carattere storico locale, raccolto a scopo espositivo e museale o frutto di donazioni (fra le più notevoli, quelle in memoria del glottologo Graziadio Isaia Ascoli, del naturalista Giovanni Bolle e di Sofronio Pocarini, esponente del futurismo giuliano). Ha analoga origine anche il fondo che raccoglie i Documenti di guerra 1915-1918.

Riflettono come poche altre fonti il gusto, la cultura e la vita sociale goriziana l’archivio del Teatro di Società di Gorizia (aa. 1780-1933) e il Fondo Musicale (secc. XVIII-XIX).

Archivio della Curia Arcivescovile di Gorizia

L’Arcidiocesi di Gorizia venne eretta il 6 luglio 1751, sebbene già il 27 giugno 1750 papa Benedetto XIV nominasse il conte Carlo Michele d’Attems vicario apostolico per la parte del Patriarcato di Aquileia soggetta all’Impero asburgico. L’archivio sorse contemporaneamente a questi eventi e da allora custodisce i documenti della storia dell’Arcidiocesi, tuttavia sono presenti nei vari fondi anche documenti, in originale o in copia, la cui datazione va dal XIII al XVIII secolo. L’Archivio della Curia funge anche da Ufficio di Stato Civile per gli atti registrati fino al 31 dicembre 1923 poiché prima di quella data l’Impero Austriaco aveva incaricato i sacerdoti di tale compito. Il patrimonio archivistico, conservato presso la Curia Arcivescovile di Gorizia, ha subito profonde mutilazioni e gravi dispersioni a causa delle due guerre mondiali.

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Dopo un lavoro di riordino operato da don Valerio Gregori, che per anni si è occupato dell’archivio e ha riorganizzato completamente il materiale archivistico, attualmente è in corso l’inventariazione informatica dell’archivio, grazie al progetto CEIAr per l’inventariazione dei beni archivistici di proprietà ecclesiastica, iniziativa promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, tramite l’utilizzo del software CEIAr, un programma informatico studiato ad hoc per gli archivi ecclesiastici.

  1. Fondo della Curia Arcivescovile di Gorizia *
    Contiene documentazione relativa all’attività della Cancelleria e dei principali uffici della Curia arcivescovile goriziana e in genere alla vita diocesana: arcivescovi, sacerdoti, religiosi, Cancelleria, parrocchie italiane e oltre confine, matricole delle parrocchie italiane e slovene (dal 1835; le matricole costituiscono uno dei fondi più consultati e richiesti dagli utenti per ricerche genealogiche), bolle e brevi, storia della Diocesi e della Curia, visite pastorali e decanali.
  2. Fondo Seminario Teologico e Seminario Arcivescovile *
    Contiene documentazione relativa al Seminario teologico centrale e al Seminario minore di Gorizia.
  3. Fondo della Parrocchia di S.Tommaso Apostolo di Perteole
  4. Fondo della Parrocchia Decanale di Fiumicello *
  5. Fondo della Parrocchia di S.Ulderico di Aiello del Friuli *
  6. Fondo della Parrocchia di S.Giorgio Martire di Brazzano
  7. Fondo della Parrocchia di S.Michele Arcangelo di Cervignano del Friuli
  8. Fondo della Parrocchia di S.Eufemia di Grado
  9. Fondo della Parrocchia di S.Maria Annunziata di Romans d’Isonzo
  10. Fondo della Parrocchia di S.Stefano di Ruda
  11. Fondo della Parrocchia di S.Biagio Vescovo di Terzo di Aquileia
  12. Fondo della Parrocchia di S.Martino Vescovo di Tapogliano
  13. Fondo del Decanato di Gorizia
  14. Fondo Mensa Arcivescovile
  15. Fondo del Monte di Pietà *
  16. Fondo del Capitolo Metropolitano di Gorizia
  17. Fondo delle Suore Orsoline di Gorizia *
  18. Fondo Giuseppe Bugatto
    Archivio personale dell’uomo politico cattolico Giuseppe Bugatto
  19. Archivio Carlo Musizza *
    Archivio personale di don Carlo Musizza
  20. Archivio Emma Galli
    Archivio personale della pittrice Emma Galli
  21. Fondo Valerio Gregori *
    Archivio personale di don Valerio Gregori
  22. Fondo Seminario Teologico e Seminario Arcivescovile (secondo versamento) *
    Contiene documentazione relativa al Seminario teologico centrale, al Seminario minore di Gorizia e alla Casa dello Studente

Archivio della Curia Arcivescovile di Gorizia,
Fondo delle Madri Orsoline

Il monastero di Gorizia, sorto grazie all’iniziativa delle goriziane Maria e Anna Bonsi, con l’appoggio della corte austriaca, dei Gesuiti e della nobiltà locale, costituisce una filiazione di quello delle Orsoline viennesi. Fu ufficialmente fondato con lettera del 24 marzo 1672 dal Nunzio apostolico a Vienna, monsignor Mario Albrici.

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In origine ubicato in una casa appartenente alle sorelle Bonsi e sita, presumibilmente, nei pressi del convento di Santa Chiara, fu trasferito già nello stesso anno di fondazione (1672) in una nuova sede, ai piedi del colle del Castello. Da quest’ultimo edificio si sviluppò l’intero corpo di fabbrica del monastero, che in una pianta del 1823, di proprietà delle Orsoline, appare esteso dall’odierna via delle Monache, sulla quale s’affacciava la chiesa, aperta al pubblico culto, alla contrada dei Macelli (oggi via Morelli). Donazioni e contratti di dote delle religiose, reclutate fino all’Ottocento solo presso famiglie nobili, documentano il progressivo costituirsi del vasto patrimonio fondiario del monastero, ampliato e concentrato attraverso permute e acquisizioni. Conformemente alle finalità della Compagnia di sant’Orsola, anche le religiose di Gorizia si erano dedicate all’educazione e all’istruzione delle fanciulle. In città istituirono, infatti, un ‘educandato’, ossia un convitto accessibile ad allieve non destinate alla vita monastica, o ‘educande’, e una ‘scuola esterna’. Successivamente all’emanazione del Regolamento scolastico teresiano del 6 dicembre 1774 fu disposto l’adeguamento della scuola esterna a caposcuola normale (Mädchen-Hauptschule) e la progressiva sostituzione dell’italiano con il tedesco quale lingua d’insegnamento. A tale azione educativa fu riconosciuto il carattere di pubblica utilità, che permise al monastero di sopravvivere alle ondate di soppressioni di istituti monastici volute prima dall’imperatore Giuseppe II d’Asburgo, poi attuate durante il periodo napoleonico. Durante l’Ottocento le Orsoline goriziane furono autorizzate al rilascio di titoli validi nei territori asburgici e, fino agli anni Settanta di quel secolo, fu loro demandata anche la locale preparazione delle insegnanti, in base a un monopolio che pare fondato tanto sull’ampia delega che la monarchia austriaca aveva concesso alla Chiesa in materia d’istruzione, quanto sulle carenze della distribuzione geografica degli istituti d’istruzione di grado superiore. Nel 1875, quando con ordinanza del Ministero del Culto e dell’Istruzione fu attribuita allo Stato l’attivazione di istituti magistrali maschili e femminili, e iniziò a operare localmente un istituto magistrale femminile governativo, la scuola di metodica delle Orsoline fu soppressa. È documentata dal 1891 al 1915 l’attività della scuola popolare e cittadina a lingua d’insegnamento italiana, dal 1907 al 1919 di quella popolare e cittadina a lingua d’insegnamento tedesca e, per il solo anno scolastico 1918-1919, della scuola cittadina a lingua d’insegnamento slovena.

Durante la prima guerra mondiale, nonostante i bombardamenti ed il trasferimento di molte religiose sia in altri monasteri, sia nei campi allestiti per i profughi, l’edificio di via delle Monache non rimase mai deserto. La guerra, cui seguì il passaggio dei territori giuliani all’Italia, segnò ovviamente una cesura nella sua storia. Nel 1921, considerati gli ingenti danni subiti dagli edifici durante il conflitto e le limitazioni che dall’esecuzione del nuovo piano regolatore della città sarebbero derivate al complesso monastico, ne fu deciso il trasferimento in una sede diversa. Acquistati la villa e il vasto giardino di proprietà prima di Giacomo Ceconi, poi dei triestini fratelli Loser, nel 1923 fu dato inizio ai lavori di costruzione dei nuovi edifici dove, fra 1927 e ’28, si trasferì l’intera comunità monastica. L’opera fu all’origine d’un grave dissesto economico, vuoi per il ritardo con cui furono corrisposti gli indennizzi per i danni di guerra, vuoi per la condotta contraddittoria dell’amministrazione comunale goriziana, che prima suscitò speranze di grossi ricavi dicendosi favorevole all’acquisto dell’intera area occupata dal vecchio monastero, poi si offrì di comperarne solo una porzione ridotta. Irregolarità commesse dalla ditta responsabile della conduzione dei lavori di edilizia e dagli amministratori laici del monastero aggravarono ulteriormente la situazione. Le religiose riuscirono a risolvere le proprie difficoltà solo negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale, in seguito alla contrazione di mutui con istituti bancari, all’alienazione di proprietà fondiarie e grazie a ripetute, provvidenziali sovvenzioni della casa delle Orsoline di Brescia. Le Orsoline goriziane continuavano, intanto, ad essere attive nel settore dell’istruzione. Riflessi del sovrapporsi del sistema scolastico italiano a quello austro-ungarico si ebbero nella scomparsa delle scuole a lingua d’insegnamento diversa dall’italiana e nella trasformazione, dal 1926, della preesistente “scuola cittadina” in ‘scuola di avviamento professionale a tipo commerciale’. Operarono, dal 1920 al 1935, la scuola d’educazione e d’economia domestica e, dal 1923 al 1928, il corso di taglio e cucito, quindi dal 1924 la scuola magistrale e, dal 1940, la scuola media inferiore. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio del monastero non subì danni. Fu requisito il 24 settembre 1943 dalle truppe germaniche ad uso dello Stato maggiore, poi adibito a ospedale militare e occupato il 5 maggio 1945 da un reparto di americani, che lo lasciarono il 21 maggio. Le truppe alleate si ripresentarono il 12 giugno, al termine dell’occupazione titina. Nell’aprile 1947, quando fu smantellata la stazione radio che l’esercito americano vi aveva allestito, rientrò in esclusivo possesso della comunità delle religiose. Data da allora l’assetto che a tutt’oggi caratterizza il monastero, presso il quale sono ancora operanti la scuola elementare e quella materna. Storia archivistica Il fondo è stato conservato senza soluzione di continuità dal monastero di Sant’Orsola di Gorizia. È stato riorganizzato a cura delle religiose nel 1831 e nel 1922. Ne testimoniano il primitivo assetto repertori risalenti agli inizi dell’Ottocento: le scritture risultano esser state allora suddivise in «armari», «cassettini» e «plichi», secondo un criterio che riflette metodi di ordinamento diffusi tra il Sei e il Settecento. Nel 1744 i documenti considerati di maggior rilievo furono trascritti su cartolari o «Libri degli strumenti»6 e fatti autenticare dal notaio Antonio Cruxilla. Accanto alle scritture e ai cartolari, l’archivio del monastero comprendeva all’epoca serie di registri contabili, i registri nominativi delle religiose e gli annali ufficiali. L’ordinamento operato nel 1831 conservò l’ordinamento alfabetico, preesistente, dei «plichi», all’interno dei quali i documenti furono ordinati cronologicamente, quindi analiticamente descritti nel grande «Repertorio 1831». La compilazione di tale «Repertorio» previde anche sistematici rinvii ai trascritti dei cartolari e, per quanto concerne la gestione dei beni colonici, ai registri degli affitti. Al termine del primo conflitto mondiale quanto rimaneva della documentazione – molto, se rapportato all’entità dei danni subiti dall’edificio – fu sottoposto a un nuovo ordinamento che, senza alterarne l’ordine, restituì il complesso delle scritture descritte nel «Repertorio 1831», riunendole sotto il titolo di «Documenti antichi». Descrive questo secondo ordinamento dell’archivio il «Sunto del repertorio eseguito nell’anno 1831, il quale fu fatto dopo la guerra (1914-1919), nella revisione dell’Archivio del Monastero, l’anno di grazia 1922». Di seguito alla registrazione sintetica dei «Documenti antichi», il repertorio riporta, sotto il titolo «Documenti dell’economato (Madre Angela Philippovich)», la descrizione dei fascicoli riguardanti la gestione economica del monastero tra il 1906 e il 1920, ordinati alfabeticamente. Per il medesimo arco cronologico si conservano serie di registri contabili e i «Documenti delle religiose defunte», disposti in ordine alfabetico. La documentazione riguardante le scuole, inizialmente compresa nel complesso delle scritture del monastero e descritta nel «Repertorio 1831», fu costituita in parte a sé, nell’«Archivio della Scuola»10. Iniziarono allora a essere compilati anche i registri contabili riguardanti la gestione dell’educandato. Nel 1924, dopo il trasferimento del monastero presso la sede attuale, fu adottato un diverso sistema di organizzazione dei documenti dell’economato, caratterizzato da disposizione in fascicoli, registrazione sintetica su protocollo e classificazione secondo le seguenti rubriche, deducibili dal registro di protocollo: «Amministrazione», «Danni guerra», «Culot-Giberti», «Pro Famiglia», «Terreni», «Generalato», «Provinciale», «Suore», «Allieve» «Collegio», «Scuole», «Diverso». Furono conservati separatamente i «Documenti delle religiose defunte», i registri contabili, i documenti delle scuole e quelli dell’educandato.

Archivio Storico della Parrocchia di Aquileia

L’archivio, oggi interamente riordinato, occupa una superficie lineare di 15 metri circa per 84 unità di conservazione e 743 unità archivistiche, ed è ben custodito al secondo piano della casa canonica in armadi metallici idonei alla conservazione.

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La documentazione esistente risale alla seconda metà del XVII secolo.

L’Archivio storico riunificato in un unicum comprende ora anche i documenti della Parrocchia che erano conservati presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Gorizia [A.C.A.GO], che sono stati ricollocati nella loro posizione originaria il 30 aprile del 2013, dopo aver ottenuto il parere positivo dell’Ordinariato Arcivescovile di Gorizia e della Soprintendenza Archivistica per il Friuli Venezia Giulia. Si può ipotizzare che tale documentazione, costituita da carte anagrafiche e amministrative (dalla seconda metà del XVIII secolo alla prima metà del XX secolo), sia confluita nell’Archivio della Curia Arcivescovile di Gorizia all’inizio degli anni Novanta del XX secolo nell’ occasione del riordino dell’Archivio della Chiesa Parrocchiale di Fiumicello e quivi rimasta dopo la ricollocazione di tale Archivio nella sede di provenienza. La Parrocchia di Fiumicello era anche sede decanale (fino al 1902) e per questa ragione, probabilmente, il Parroco Decano era in possesso della carte della Parrocchia di Aquileia.

I documenti riordinati nel precedente inventario del 2006 sono stati segnalati riportando anche la numerazione allora data in parentesi quadra; la stessa procedura è stata adottata per le carte trasportate dall’Archivio della Curia Arcivescovile di Gorizia, che riportano la sigla A.C.A.GO, l’intestazione ed il contrassegno numerico assegnato alla busta da quell’Istituto.

I documenti della Chiesa Parrocchiale di Sant’Antonio abate di Belvedere, esistenti nell’Archivio storico di Aquileia già posizionati nell’inventario del 2006 ai numeri 5 – 6 e 35 – 55, sono stati qui espunti e risultano invece inseriti nell’inventario proprio della Chiesa Parrocchiale di Belvedere.

Le maggior parte delle carte si presentavano (eccetto per quelle già riordinate) senza alcun ordine precostituito e con un arco temporale compreso tra la metà del XVII secolo e l’anno del presente riordinamento. I documenti esistenti presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Gorizia sono andati a completare o integrare sia le carte riordinate nel 2006, sia quelle ritrovate in completo stato di disordine. Attraverso quest’opera di riunificazione fisica è stato possibile ricostruire in modo pressoché totale alcune importanti serie archivistiche, come l’Anagrafe Ecclesiastica e in particolare per gli “Atti matrimoniali preparatori”, a partire dal 1760; l’Amministrazione della Chiesa e in particolare per i “Rendiconti”, a partire dal 1796, nonché gli Archivi Aggregati e in particolare per la sotto – serie Scuole Popolari.

Una volta iniziato l’esame delle carte si è proceduto in alcuni casi alla schedatura carta per carta, per il carattere spesso miscellaneo dei raggruppamenti documentari, conservati in faldoni plasticati con denominazioni molto vaghe. Si è deciso di produrre un inventario analitico per la necessità di dare al fruitore una visione quanto più specifica e dettagliata possibile delle preziose documentazioni archivistiche esistenti. Pertanto l’unità archivistica descritta (fascicolo, registro) si riferisce in diversi casi, data l’importanza del documento, anche alla singola unità documentaria.

È da specificare che uno dei parroci di Aquileia – e dall’analisi della scrittura si è risaliti a monsignor Mesrob Iustulin (1921 – 1943) – si è occupato della lettura e dell’analisi di un numero considerevole di documenti, soprattutto del periodo Giuseppino, lasciando molto spesso sulle stesse carte, o in matita blu o rossa o in inchiostro blu, dei brevi regesti. Questi studi storici sono confluiti in una serie di pubblicazioni apparse sulla rivista “Aquileia Nostra” negli anni 1934 – 1938.

 

L’ordine delle serie rispecchia la struttura tipica di un archivio parrocchiale, pur con alcune scelte personali e concordate con la Soprintendenza Archivistica per il Friuli Venezia Giulia.

Sono state individuate 12 serie principali: Anagrafe ecclesiastica, Protocollo, Amministrazione della chiesa, Beni della chiesa, Edifici di culto soppressi o venduti, Cimitero, Lavori di restauro, Attività parrocchiale, Carteggio, Attività pastorale, Documenti diversi, Archivi aggregati.

Si è scelto di utilizzare per le unità archivistiche i titoli originali, fra virgolette, qualora fossero segnati.

Da specificare che l’Archivio storico della Chiesa Parrocchiale dei Santi Ermagora e Fortunato per le serie Anagrafe Ecclesiastica ed Edifici di culto soppressi o venduti consta anche delle carte delle chiese parrocchiali soppresse di San Giovanni in Piazza, Monastero, Santo Stefano, dei Santi Ilario e Taziano e dell’Abbazia di Beligna.

Si è scelto per alcune sottoserie di procedere in maniera molto analitica, creando ulteriori divisioni: come nel caso dei Benefici (all’interno della serie Amministrazione della chiesa) in cui vengono diversificate le diverse tipologie di benefici trovati, o dei Testamenti e Legati che sono stati suddivisi cronologicamente; anche le Messe Fondate seguono l’ordine cronologico    mantenendo la numerazione coeva.

All’interno della serie Beni della chiesa si trova un notevole quantità di documentazione relativa all’oggettistica sacra, alle suppellettili liturgiche, nonché al loro restauro, poche invece le autentiche di reliquie.

Significativa è la serie Edifici di culto e strutture annesse soppresse o vendute per le notizie che si possono ricavare sulle tante chiese soppresse, vendute o abbattute negli anni 1785 – 1788: la chiesa di San Giovanni in Piazza, di Santo Stefano, di Monastero, di Beligna e dei Santi Ilario e Taziano.

Segue la serie Attività parrocchiali, sulle messe fondate: comprende riferimenti a numerose fondazioni e lasciti fondazionali a partire dal 1783.

Interessante è la serie del Carteggio, nella quale trovano spazio i rapporti della parrocchia con le principali autorità ecclesiastiche tra cui l’Ordinariato Arcivescovile o l’Ufficio Decanale di Fiumicello e le autorità civili come l’I.R. Luogotenenza di Trieste, l’I.R. Capitanato Provinciale di Gorizia, l’I.R. Capitanato Distrettuale di Gradisca, l’I.R. Capitanato Distrettuale di Monfalcone, il Commissariato Civile, la Municipalità di Aquileia e la Pretura di Cervignano. All’interno di questa corposa serie si trovano anche scritti inerenti vertenze giuridico – amministrative tra sacerdoti, tra sacerdoti e laici nonché attività amministrative come atti inerenti la pubblica moralità, l’ordine pubblico e i permessi per i balli, nonché le prescrizioni sanitarie sulla malaria, colera, vaiolo e pellagra. Notevole il carteggio amministrativo di alcuni sacerdoti come don Domenico Pacco (parroco), don Luigi Sambuco (parroco), don Celso Costantini (reggente), don Mesrob Iustulin (parroco), don Giacomo Gregori (cooperatore), don Pietro Cocolin (parroco), don Bruno Cargnel (cooperatore) e don Bruno Vittor (cooperatore); da segnalare in coda alla serie anche la corrispondenza privata dei parroci.

La serie Attività pastorali comprende svariata documentazione, riguardante le funzioni per annum, le processioni votive con il crocifisso, le missioni, le relazioni sulla stato religioso della parrocchia, la conferenza foraniale, le conferenza decanali, il Consiglio Presbiterale, il Consiglio Pastorale Parrocchiale, i periodici cattolici, i quaderni degli avvisi festivi, la documentazione sulla costruzione delle sedi e sulle attività pastorali per la gioventù, nonché i documenti sulle colonie estive, le visite pastorali di papa Paolo VI e del cardinale Patriarca di Venezia e sull’ associazionismo cattolico con particolare riferimento all’Azione Cattolica e alle A.C.L.I.

La serie Documenti diversi contiene al suo interno carte eterogenee riguardanti enti, istituzioni e attività non strettamente riportabili alle serie caratterizzanti l’Archivio storico parrocchiale, come un Decreto del Doge (datato 1699), il privilegio del Patriarca Popone al Monastero di Aquileia (datato 1710), la Copia della Bolla di soppressione del Patriarcato di Aquileia, la Copia della Bolla di erezione dell’Arcidiocesi di Gorizia, le memorie sulla Chiesa di Sant’Antonio a Gorizia, una vertenza di don Giacomo Cignola confessore delle monache, gli Atti della visita Apostolica alla Basilica di Aquileia, l’omelia di Carlo Michele d’Attems letta durante la traslazione delle reliquie da Aquileia a Gorizia; o altra documentazione storica, come quella relativa ai centri di   Grado e di Barbana, alla consacrazione della chiesa di Cervignano, all’’esistenza di una Cappella dei conti Thurn nel Duomo di Gorizia; o, ancora, relativa ad importanti avvenimenti che hanno caratterizzato la storia della Basilica di Aquileia, come la visita di Ferdinando I , il centenario San Paolino d’Aquileia, lo scoprimento del mosaico e l’apertura della tomba dei patriarchi Popone e Bertoldo, il centenario della Basilica , il XVI centenario del Concilio aquileiese nonché numerosi scritti sulla storia della Basilica e della città di Aquileia.

Infine, negli Archivi aggregati si trovano le documentazioni inerenti le Scuole Elementari Popolari di Aquileia, le Confraternite del Santissimo Sacramento e della Beata Vergine del Santo Rosario, nonché gli atti dell’Apostolato della Preghiera e dell’Opera per le vocazioni ecclesiastiche.

Archivio Storico della Chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta di Farra d’Isonzo

Le origini della Pieve di Farra

L’antica pieve di Farra d’Isonzo fin dal XIV secolo cominciò a affrancarsi dalla sudditanza del Patriarca di Aquileia proprio per volontà dei suoi vicari. Nel XVII secolo i principi di Eggenberg si arrogarono il giuspatronato sulla chiesa di Farra e nominarono il primo parroco nella persona di Giuseppe Pollini e, nello stesso tempo, essendo divenuta troppo angusta la chiesa primigenia, il neo pastore supportato dalla popolazione diede il via alla costruzione di un nuovo tempio al centro dell’antico cimitero e accanto al precedente, oggi in parte adibito sacrestia.

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L’Archivio parrocchiale

Le importanti documentazioni d’archivio, pur avendo delle grandi lacune, hanno inizio nel secondo decennio del secolo XVII, subito dopo la fine delle “Guerre Gradiscane” 1615 – 1617: il primo registro dei battesimi è datato 2 febbraio 1620, il primo libro dei matrimoni ha inizio il 16 settembre del 1619, il primo dei defunti è più tardo e risale al 16 aprile 1645, per trovare la prima denominazione di parrocchia nei libri canonici bisogna andare al settimo libro dei defunti “Tom 7° Registro de Morti che principia li 3 Gennajo 1851 della Parrochia di Farra” o al nono libro dei battesimi: “IX Liber Baptizatorum in Parochia B. V. Assumptae Farrae ab anno 1857 ad annum 1865”. Le prime confermazioni registrate risalgono al 1819, mentre gli Stati delle anime [Status animarum] indicano il termine parrocchia già nei primi anni dell’Ottocento “Stato delle anime ovvero Prospetto di tutte le famiglie della Parrocchia di Farra compilato, e messo in ordine dal R(everen)do Don Giovanni Battista Aviàno Capellano l’Anno 1809 Poscia ridotto in migliore forma l’Anno 1815” [Archivio storico: 1.1 Libri canonici; 1.1.1 Registri dei battezzati; 1.1.2 Registri dei matrimoni; 1.1.2.1 Registri degli Atti di matrimonio; 1.1.3 Registri dei defunti; 1.1.4 Registro dei confermati; 1.2 Status animarum]. La serie dei protocolli ha la sua genesi nel 1870 con il primo Libro degli esibiti e si chiude il 23 maggio 1915 con l’ingresso delle truppe italiane a Farra, per poi ricominciare nel 1921. Nelle serie dedicate all’amministrazione della Chiesa ci sono molte parte mancanti infatti il primo Libro mastro è in verità il secondo in quanto il primo è andato perduto “N° 2 Prop. Farra – Urbario delle V[eneran]da Parrocchia di Sta Maria di Farra incomincia con dì 1mo Gennaio 1841” ma le documentazioni sono molto significative, a partire dagli Inventari della Facoltà (1818 – 1923) [Archivio storico: 3.5 Inventari], fino ai testamenti (1845 – 1921) [Archivio storico: 3.8 Testamenti]. Una parte notevole dell’archivio storico è dedicata al carteggio che racchiude documenti a partire dal 1821 fino al 2000 e nel quale trova collocato anche l’archivio personale di don Lucio Simonit, parroco di Farra. Le documentazioni racchiudono anche degli archivi aggregati: quelli delle Scuole popolari, della “Società San Gioacchino”, del Circolo Giovanile Cattolico [Archivio storico: 11.1 Scuole; 11.2 Società San Gioacchino; 11.3 Circolo Giovanile Cattolico].                                        

L’edificio sacro

L’edificio di stile barocco con altare maggiore “di pietra schietta”, come scritto nella supplica indirizzata al patriarca di Aquileia dalle comunità di Farra, Bruma e Villanova per ottenere il permesso di esecuzione dei lavori, venne ultimato nel 1728 e consacrato il 20 maggio 1742 da monsignor Gian Giuseppe Bonifacio Cecotti, vescovo di Pedena e delegato dell’ultimo Patriarca Daniele Delfino. La Chiesa è dedicata al dies natalis della Madre di Dio, Santa Maria Assunta in cielo. La chiesa a metà del Settecento era provvista di altri due altari oltre al maggiore, uno dedicato a Sant’Antonio abate e l’altro a Sant’Antonio di Padova. L’Arcivescovo Carlo Michele conte d’Attems visitò la chiesa nel 1753, nel 1759 e nel 1765, sempre accolto con grande entusiasmo dal popolo e dal clero, nella seconda visita venne accolto anche dai padri domenicani e dal giurisdicente del villaggio Francesco conte di Strassoldo. Nella relazione alla seconda visita si viene a conoscenza che i due altari dedicati ai santi Antonio abate e Antonio da Padova erano stati sostituiti con due dedicati ai Santi Pietro e Paolo l’uno a cornu Evangelii e l’altro a cornu Epistolae. Come risulta dai documenti presenti nell’archivio storico parrocchiale nel 1942 il parroco Luigi Cossi ornò i preziosi manufatti settecenteschi con due grandi statue raffiguranti Pietro e Paolo [Archivio storico: 4.4 Statue dei Ss. Pietro e Paolo].

Durante il primo conflitto mondiale l’edificio sacro venne danneggiato pesantemente dalle artiglierie e fu ricostruito con i contributi attenuti dallo stato centrale italiano nel 1923, come si legge dall’incartamento conservato in archivio [Archivio storico: 7.1 Danni di Guerra]. Il tempio fu riconsacrato dall’arcivescovo Francesco Borgia Sedej il 5 agosto del 1923.

L’interno attuale della chiesa è privo di ornamenti, la volta è opera del pittore Corrado Zimolo di Sagrado mentre la via Crucis, del 1925, è opera di Clemente Costantino Del Neri [Archivio storico: 3.1 Libri Mastri, 3.2 Rendiconti, 3.6 Amministrazione generale della Chiesa] che ha restaurato anche gli otto stendardi in seta provenienti dal filatoio di Farra. Sopra l’altare maggiore è stata posta nel 1930 la nuova statua della Madonna Assunta di Giovanni Moro da Udine, mentre la corniche dorata è pregevole lavoro dell’artigiano di Farra Eugenio Olivo. L’affresco battesimale fu realizzato dal farrese Cesare Tofful, al centro della facciata decorata da quattro lesene trova in una nicchia, la statua in marmo dell’Immacolata, opera giovanile dello scultore di Gradisca di Giovanni Battista Novelli coadiuvato da altri membri della sua famiglia di scultori.

L’Organo

L’organo della chiesa, come da documentazione d’archivio [Archivio storico: 4.1 Organo], venne costruito nel 1866 e poi più rimaneggiato fino al 1926. Al termine della guerra, attraverso i contributi governativi fu realizzato un nuovo organo che venne ultimato nel 1943. Il carteggio racchiude interessanti documenti inerenti la progettazione, i disegni, la raccolta fondi suddivisa in tutti i borghi di Farra e anche le documentazioni legate a un organo della ditta “Zanin” di Codroipo mai realizzato.

Il Campanile e le Campane

Il campanile della primitiva chiesa di Santa Maria in stile romanico era molto più basso dell’odierno che misura 36 metri ed era incorporato alla facciata principale dell’edificio. L’orologio settecentesco, costruito dai domenicani, venne distrutto nel 1915 e sostituito al termine della guerra a spese del Comune di Farra. La torre campanaria fu utilizzata infatti come osservatorio militare dalle truppe italiane e venne abbattuta dagli austriaci. Le campane originarie [Archivio storico: 4.2 campane] risalivano al secolo XVIII e vennero rifuse nel 1873 dalla ditta “Broili – De Poli” di Gorizia. Dopo il primo conflitto mondiale la torre campanaria fu dotata di tre nuove campane fuse dalla ditta “De Poli” di Udine, tra il 1926 e il 1958.

Le Chiese filiali della Pieve di Farra

Dall’analisi della visita pastorale dell’abate di Moggio Bartolomeo conte di Porcia del 1570 e da quelle del 1753, 1759 e 1765 di Carlo Michele d’Attems si rileva che erano chiese filiali di Farra d’Isonzo: Bruma, San Martino, Sdraussina, Peteano, Villanova e Mainizza.

Certamente Gradisca, Bruma e San Martino si resero indipendenti già in tempi remoti: Gradisca divenne autonoma con la dominazione veneta del secolo XV e la conseguente costruzione dell’inespugnabile fortezza, Bruma si staccò da Farra nel 1776 divenendo Vicariato e San Martino già nel 1753 era autonoma rispetto a Farra.

La Chiesa di Villanova

Nell’antico feudo dei conti Strassoldo, baroni di Villanova, la chiesa gentilizia della famiglia era dedicata a San Pietro, il quale appariva come patrono fin dalla terza visita di Carlo Michele d’Attems del 9 giugno 1765. Era provvista di campanile con una unica campana e un cimitero benedetto. Venne distrutta nella prima guerra mondiale e fu ricostruita nel 1926 dal governo italiano in stile romanico con moduli neobizantini. In antico la chiesa filiale era meta di pellegrinaggi e processioni, in occasione dell’Ascensione, della festa di San Marco e durante le rogazioni maggiori e minori.

La Chiesa della B.V.M. alla Mainizza

Fin dai tempi antichi si ergeva un tempietto votivo al dio “Aesu”, divinità gallica che corrispondeva al dio Mercurio dei Romani, da cui è derivato Aesontius, cioè Isonzo. A questa divinità protettrice dei commercianti e pellegrini, erano rivolte le invocazioni dei viandanti della via Gemina per impetrare protezione contro le insidie dei periodici straripamenti del fiume che, nei pressi, riceveva le acque dell’affluente “Frigidus” Vipacco, nonché per un rendimento di grazie per essere usciti indenni dai boschi infestati dal brigantaggio e dagli animali.

Su quei resti venne posta una piccola chiesa dedicata alla Beata Vergine su un fondo denominato “Spirito Santo”, come da ufficio catastale, priva di cimitero. Dal Catapano di Lucinico si apprende che gli abitanti di quella comunità si recavano in processione, dopo la festa di San Giorgio, fino alla chiesa della Mainizza a rendere omaggio alla Santa Vergine. Negli anni precedenti il primo conflitto mondiale si svolgeva l’annuale festa religiosa con sagra nella solennità della Pentecoste. La chiesa venne rasa al suolo durante la prima guerra mondiale e ricostruita dal governo italiano nel 1923. Con lettera dell’Arcivescovo Francesco Borgia Sedej del 18 agosto 1926 si permise l’introduzione, su richiesta del parroco, della nuova processione con la statua della Beata Maria Vergine da tenersi l’ultima domenica di agosto di ogni anno, a condizione che non fossero organizzati balli o altre feste in tali giorni e, con lettera del 1931, lo stesso presule acconsentì nuovamente la tradizionale processione religiosa, ma senza banda, per la richiesta della pioggia [Archivio storico: 8.7 Rapporti con l’Ordinariato Arcivescovile].

La Chiesa di San Valentino a Sdraussina

Nella relazione del 1753, prima visita pastorale dell’Arcivescovo Carlo Michele d’Attems, risulta che la Chiesa di San Valentino era provvista di due altari, oltre a quello del patrono anche uno dedicato a San Giuseppe e l’altro a Santa Lucia. Era dotata di cimitero e la distanza dalla pieve di Farra era solo di 4 chilometri ma la difficoltà più grande era l’attraversamento dell’Isonzo. Nel 1914 il titolo della chiesa venne modificato da San Valentino in San Paolino d’Aquileia.

Nel 1915 la chiesa venne distrutta e con le sue pietre fu edificato l’attuale campanile. La Chiesa di Sdraussina si rese indipendente da Farra nel 1865 dopo essere stata eretta una vicaria autonoma [Archivio storico: 10.16 Ricordo della chiesa di San Valentino di Sdraussina 1907].

Archivio Storico della Chiesa parrocchiale di San Vito al Torre e Nogaredo

L’archivio oggi riordinato, che occupa una superficie lineare di 5 metri, è custodito al pianoterra della casa canonica di Nogaredo in armadi idonei.

La documentazione esistente ha inizio nei primi anni del XIV secolo con il “Catapano”, anche detto “Registro obituario”, databile con certezza dalla metà del ‘300 e conservato attualmente presso la Biblioteca del Seminario Teologico di Gorizia.

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Le carte si mostravano (eccetto gli atti matrimoniali suddivisi in fascicoli per anno) senza alcun ordine precostituito, anzi molto frammentate.

Una volta iniziato l’esame delle documentazioni si è proceduto in alcuni casi alla schedatura carta per carta, per il carattere spesso miscellaneo dei raggruppamenti. Si è deciso di produrre un inventario molto analitico per la necessità di dare al fruitore una visione quanto più specifica e dettagliata possibile delle preziose documentazioni archivistiche esistenti.

L’ordine delle serie rispecchia la struttura tipica di un archivio parrocchiale:

Sono state individuate 11 serie principali: 1) Anagrafe ecclesiastica, 2) Protocollo, 3) Amministrazione della chiesa, 4) Beni della chiesa, 5) Lavori, 6) Carteggio, 7) Danni di guerra, 8) Attività parrocchiali, 9) Attività pastorale, 10) Documenti diversi, 11) Archivi aggregati.

Si è scelto di utilizzare per le unità archivistiche i titoli originali, fra virgolette, qualora fossero segnati.

Da specificare che l’archivio storico della Chiesa Parrocchiale di San Vito per le serie Anagrafe ecclesiastica e Amministrazione della chiesa consta anche delle carte della chiesa di Sant’Andrea apostolo di Nogaredo. Infatti questa chiesa fu curata, vicària e parrocchiale prima di essere unficata a quella di San Vito: aveva camerari, fabbriceri e un’amministrazione propria fra i secoli XVII e XX, confluita poi in quella della nuova chiesa parrocchiale dei Santi Vito e Andrea apostolo nel 1987.

Si è scelto per alcune sottoserie di procedere in maniera molto analitica, creando ulteriori divisioni: come nel caso del Beneficio (all’interno della serie Amministrazione della chiesa) in cui vengono diversificate le diverse tipologie documentarie. Le serie più consistenti sono quelle dedicate all’anagrafe e all’amministrazione della chiesa: da una parte per la ricchezza e continuità di carte e registri legati alla contabilità, dall’altra per una importante documentazione relativa ai rendiconti, quietanze e congrue, che coprono un arco di tempo che va dal XVIII secolo ai tempi più recenti.

All’interno della serie Beni della chiesa si trovano i documenti legati alle campane, alle suppelletili liturgiche, ai vari restauri dei beni mobili stessi.

Interessante è la serie del Carteggio, nella quale si trovano i rapporti della parrocchia con le principali autorità civili tra cui l’Imperial Regio Capitanato Distrettuale, la Podesteria (poi Municipalità), il Commissariato Civile, l’Imperial Regio Giudizio Distrettuale di Cormons, e organi religiosi come l’Ordinariato Vescovile. Nella stessa serie segue una parte di carteggio per anno, già organizzato in epoca coeva alla sua formazione.

C’è poi una serie legata ai Danni di guerra con le relative ricostruzioni o le richieste di indennizzo.

Segue la serie Attività parrocchiali dedicata alle tante messe fondate.

La nona serie Attività pastorale si compone delle documentazioni inerenti le visite pastorale, le lettere pastorali e gli indulti, le processioni, le feste durante l’anno liturgico.

La decima serie Documenti diversi ha al suo interno un interessante serie di annotazioni, molto antiche, con avvenimenti storici locali, morti violente, statistiche anagrafiche, feste mobili e immobili. Da sottolienare la presenza di un piccolo fondo fotografico.

Infine, negli Archivi aggregati, si notano la Confraternita della Madonna del Ss. Rosario di Nogaredo a partire dal 1686, quella della Confraternita di San Valentino del 1686 [segnature all’iterno del primo libro dei battesimi di Nogaredo], ma soprattutto una una parte riguardante le Scuole elementari popolari e l’asilo infantile: i documenti coprono un arco di tempo che va dal XIX al XX secolo.

Archivio storico della parrocchia di San Canciano Martire di Crauglio

A tutt’oggi l’Archivio storico della parrocchia di San Canciano Martire di Crauglio è conservato presso l’ufficio del parroco, al pian terreno della casa canonica. L’ufficio è stato oggetto di recente restauro ed è munito di porta blindata e finestre con sbarre. I libri canonici sono conservati in un armadio d’epoca fabbricato ad hoc; gli urbari, i registri economici più antichi, i vecchi protocolli assieme a vario materiale storico e a documentazione appartenuta alla camerarìa ed alla fabbriceria sono raccolti in un ulteriore armadio.

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Quivi sono ospitati anche tre faldoni contenenti il carteggio antico della parrocchia (inizi secolo XIX – inizi secolo XX). Un altro armadio ancora racchiude i faldoni con le pratiche matrimoniali dal XIX al XX secolo. Un altro armadio ancora ospita il materiale più recente e quello di uso corrente. Il tutto ammonta ad un totale di 163 singole unità archivistiche (registri, fascicoli in faldoni, fascicoli sciolti, scatole) occupanti complessivamente circa 6 metri lineari. L’arco cronologico complessivo va dal 1585 al 2021. Le condizioni di conservazione variano a seconda del pezzo considerato ma sono generalmente buone, anche se non sono infrequenti i danni da muffe. La sistemazione descritta sopra è il risultato di un lavoro portato avanti grossomodo poco prima del Duemila. Tuttavia non è stato prodotto uno strumento di corredo che consentisse di muoversi con sicurezza all’interno del fondo archivistico. Oltre a ciò nel corso del 2006 le carte sono state oggetto di una prima ricognizione nell’ambito della campagna di censimento degli archivi parrocchiali del decanato di Visco, di cui la parrocchia appunto fa parte. Nell’occasione è stata prodotta una specifica scheda. Più recentemente la documentazione antica è stata oggetto di studio per una monografia storica riguardante la parrocchia. Da rilevare invece, a fronte di un’attività svoltasi per più secoli, le notevoli lacune temporali. La documentazione si presenta infatti nettamente divisa tra il materiale antico e quello più recente, consistente in documenti prodotti e/o ricevuti dalla parrocchia per il disbrigo degli affari correnti dell’ultimo sessantennio, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli immobili. Si ignora dove siano finite le carte, di ammontare peraltro non cospicuo viste le dimensioni della parrocchia, del periodo intermedio tra la fine degli Anni Venti e l’inizio degli Anni Sessanta del XX secolo. Mancano inoltre quasi del tutto, eccezion fatta per le carte relative alla catechesi, i documenti successivi anche agli Anni Sessanta. Ad ogni modo il lavoro di ordinamento, iniziati nel corso del mese di giugno del 2021 e protrattisi fino alla metà di settembre, hanno riguardato l’intero materiale, descritto senza 8 soluzioni di continuità entro le varie serie in cui è stata ripartita la struttura ad albero risultante dalle varie analisi “sul campo”: questo per facilitare sia l’esecuzione dei lavori sia per produrre uno strumento finale il più possibile fluente. Del resto questa è stata una scelta imposta anche dalle ridotte dimensioni della raccolta documentaria. Così tenendo presenti i criteri propri del metodo storico si è proceduto innanzitutto allo studio delle vicende, appunto, storiche dell’ente e si è cercato di ricostruire la sua struttura interna. L’operazione è stata possibile sulla scorta anche della scheda elaborata in occasione del suddetto censimento e del confronto con altri archivi parrocchiali dotati di una struttura anche molto complessa di notevole utilità anche lo studio di Giulio Tavian La chiesa di San Canciano Martire in Crauglio, edito a Cormòns nel 2014. Si è scelto, per analogia con altri archivi parrocchiali, di ripartire le carte tra l’archivio della parrocchia propriamente detta, quello appartenuto alla camerarìa e quello della fabbriceria, proprio per porre l’accento sulla sostanziale autonomia degli ultimi due enti dalla parrocchia, sebbene ne avessero gestito, nel corso del tempo, i beni immobili. Entro l’archivio della parrocchia si è dato risalto alla principale missione della medesima, cioè la presenza della chiesa sul territorio di competenza come centro della vita religiosa ed ecclesiastica della comunità dei fedeli: ecco dunque posta in testa all’inventario la sezione dedicata all’anagrafe parrocchiale. Infatti i libri canonici (battesimi, matrimoni e defunti) sono stati aperti a ridosso della conclusione del Concilio di Trento. I registri rappresentano così un forte motivo d’interesse nel panorama archivistico delle parrocchie arcidiocesane ed uno dei casi più ragguardevoli di continuità storica se si pensa che sono stati continuamente aggiornati, fino al corrente anno, e che non hanno risentito in maniera significativa dei danni provocati in altre parrocchie dagli eventi bellici del 1915 – ’18. Dopo l’anagrafe parrocchiale si è cercato, con apposite sezioni, di delineare la personalità giuridica della chiesa di San Canciano Martire come ente autonomo sia ecclesiasticamente che civilmente, e di mettere in evidenza le figure di alcuni dei sacerdoti che, dapprima come vicari poi come parroci, l’hanno guidata. Gli atti d’ufficio, oggetto di una specifica sezione, evidenziano i rapporti della detta parrocchia mentre le carte d’amministrazione possono fornire materiale, sebbene cronologicamente discontinuo, per una ricostruzione delle vicende che hanno interessato il patrimonio della chiesa sia per quanto riguarda la sua progressiva dismissione sia per quanto riguarda lavori di restauro su opere d’arte di proprietà o sugli edifici della chiesa e della canonica. Le sezioni finali dell’archivio della parrocchia documentano da vicino la vita pastorale e catechistica della comunità con le varie iniziative realizzate nell’ultimo quarantennio nonché l’esistenza e 9 le attività di alcune associazioni religiose che hanno operato a Crauglio nel corso del XX secolo. Gli archivi della camerarìa e della fabbriceria, sebbene piuttosto scarni, valgono a documentare l’estensione del patrimonio fondiario della chiesa di San Canciano Martire, le modalità della sua formazione nel corso dei secoli ed il sistema della sua valorizzazione mediante la concessione di appezzamenti, spesso dotati anche di immobili di abitazione, ai fittavoli attraverso varie forme contrattuali, anche antichissime. Una volta definite le tre grandi partizioni di cui sopra, e le loro ripartizioni interne, ciascuna di esse è stata corredata da una descrizione delle unità archivistiche ricomprese. Ogni suddivisione è stata preceduta da appositi cappelli introduttivi atti a spiegarne il contenuto, le caratteristiche della documentazione, il numero di unità pertinenti, gli estremi cronologici. Contestualmente si è proceduto ad un’accurata descrizione di ogni singola unità al fine di fornire la maggiore quantità possibile di informazioni sui documenti. Di ciascuno di essi si è compilata un’apposita scheda informatica con il software CEIAR 1.5.2 basato sugli standards internazionali ISAD (G) e ISAAR (CPF). Ogni scheda contiene così la numerazione progressiva attribuita all’interno della partizione, di appartenenza; la tipologia documentaria; l’intitolazione; la descrizione analitica del contenuto; la presenza di danni; la datazione e le indicazioni sulla leggibilità. In più, se del caso, in ciascuna scheda-documento è stata opportunamente segnalata, tramite caratteri maiuscoli, la presenza di materiale sensibile dal punto di vista della tutela della privacy dei soggetti interessati. Siffatte carte sono da ritenersi tassativamente escluse dalla pubblica consultazione. L’inventario risultante è stato corredato dall’indice dei nomi di persone, enti e luoghi per facilitare ulteriormente le ricerche. Un’apposita appendice fornisce i dati sulle pergamene nonché sul catapàn presenti entro l’archivio storico. Contestualmente all’ordinamento, inoltre, alcuni documenti, soprattutto i più recenti, sono stati condizionati in nuovi faldoni al fine di assicurare una loro fruibilità nonché un’idonea conservabilità nel tempo ed una facile movimentazione. Sono stati inoltre sostituiti i fascicoli originali maggiormente danneggiati e ne sono stati confezionati di nuovi con carte rinvenute sciolte, ma munite di sicuro nesso archivistico tra di loro, che rischiavano la dispersione. I documenti più antichi risultanti dal primo lavoro di sistemazione delle carte sono stati lasciati negli originali contenitori. I registri (libri canonici, urbari, registri contabili ecc.) sono stati invece state lasciati sciolti e sistemati direttamente entro gli armadi di origine.

La Chiesa

La vita pastorale della chiesa di San Canciano Martire ebbe il suo centro vitale nel proprio edificio di culto. Nel corso del XV secolo la vecchia cappella, costruita come già visto alla fine del secolo precedente, subì dei lavori di ampliamento che però risentirono negativamente delle devastazioni provocate dalle invasioni turche di fine secolo. La successiva, graduale, ricostruzione culminò nel 1574 quando il 16 ottobre il vescovo di Cattaro, Luca Bisanti, in vece del patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, attestò di aver solennemente consacrato la chiesa di San Canciano Martire con i suoi tre altari: il maggiore intitolato alla Vergine Maria ed a San Canciano, il secondo a San Sebastiano ed il terzo alla beata Maria Elisabetta. Furono presenti alla cerimonia anche il pievano di Aiello Giovanni de Lengis e Leonardo, cappellano di Crauglio. I lavori che diedero alla chiesa la forma attuale si protrassero anche durante il XVII e il XVIII secolo, avendo tra l’altro la chiesa subìto danni da parte delle truppe veneziane giunte sul posto in seguito alla guerra di Gradisca del 1615 – 1618. Nei secoli successivi anche il patrimonio artistico dell’edificio sacro fu continuamente arricchito ed abbellito. Fu tra l’altro anche costruito il campanile i cui lavori iniziarono nel 1683. Pochi anni dopo fu aggiunto il portico d’ingresso. Pare che anche la canonica risalga allo stesso periodo. Tra Settecento e Ottocento furono portati a termine vari restauri e manutenzioni.

Archivio Storico della Chiesa parrocchiale di S. M. Assunta in Medea

Il fondo della Chiesa Parrocchiale di S Maria Assunta in Medea si presentava in modo completamente disordinato in un luogo non idoneo (al primo piano della canonica), eccetto i registri anagrafici che erano collocati nell’ufficio parrocchiale e conservati in modo ordinato.

L’archivio oggi riordinato, che occupa una superficie lineare di 10 metri circa per 733 unità di conservazione, è ben custodito al pianoterra della casa canonica in armadi idonei.

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La documentazione esistente ha inizio nei primi anni del XIV secolo con il “Catapano”, anche detto “Registro obituario”, databile con certezza dal 1326. Le prime 38 carte sono in pergamena, con numerosi capilettera miniati; sono indicati, oltre ai nomi dei defunti che si erano distinti per generosità nei confronti della Chiesa (solamente il nome di battesimo e il riferimento al padre e al nonno), anche vicende legate alla liturgia (le feste fisse dell’anno) e al calendario liturgico, con particolare riferimento a solennità di precetto, dedicazioni di chiese e consacrazioni di altari. Un libro così prezioso per la memoria della comunità che venne continuamente aggiornato nei secoli dai vari curati, cappellani e sacerdoti: nella stessa pagina possono trovare spazio questioni che toccano sei secoli di storia locale, dal Trecento all’Ottocento. La seconda parte del libro è invece in carta: dopo una parte settecentesca nella quale si sintetizzano mese per mese le messe fondate (cioè le celebrazioni periodiche dedicate ai defunti) c’è una seconda parte molto importante dove vengono segnalati fatti rilevanti per la comunità, come la scelta dei camerari (avveniva ogni anno), il dono di opere d’arte alla chiesa, furti di beni mobili, ristrutturazioni della chiesa o avvenimenti naturali come scosse sismiche (ad esempio quella della Pasqua del 1895), o anche eventi politico – elettorali come la contesa tra Luigi Faidutti e Adamo Zanetti per la Dieta di Vienna. Vista l’importanza di tale documento si è deciso di creare una prima serie Documenti antichi in apertura, al cui interno si trovano anche 5 pergamene dei secoli XVI e XVII.

Vi è poi una parte antica piuttosto rilevante: oltre ai registri anagrafici anche i libri mastri della cameraria hanno inizio nel 16° secolo. Importante la presenza di numerosi urbari (entrate e uscite per anno), perché si trovano al loro interno datazioni certe di numerosi fatti avvenuti nel paese a partire dal 1550. Si sono conservati anche numerosi documenti legati al periodo 1914 – 1918, cosa piuttosto rara per gli archivi ecclesiastici dell’Arcidiocesi di Gorizia visti i danni causati dal primo conflitto mondiale. Si può quindi ritenere eccezionale la conservazione presso la parrocchia di Medea di una notevole quantità di documenti con continuità cronologica, fondamentale per una ricostruzione attenta della storia ecclesiastica e civile della comunità locale.

 

Le carte si presentavano (eccetto gli atti matrimoniali preparatori, post 1950, suddivisi in fascicoli per anno) senza alcun ordine precostituito, anzi molto frammentate: una notevole quantità di fascicoli (probabilmente creati negli anni Ottanta del secolo XX) sono stati frutto di un riordinamento generale effettuato senza tenere conto dei nessi archivistici e dell’organizzazione originaria dell’ente: sciolto il vincolo sono state create allora suddivisioni per mittente o titolazioni molto generiche che non corrispondevano spesso con il contenuto, e al cui interno la documentazione copriva anche interi secoli.

Una volta iniziato l’esame delle carte si è proceduto in alcuni casi alla schedatura carta per carta, per il carattere spesso miscellaneo dei raggruppamenti. Si è deciso di produrre un inventario molto analitico per la necessità di dare al fruitore una visione quanto più specifica e dettagliata possibile delle preziose documentazioni archivistiche esistenti.

L’ordine delle serie rispecchia la struttura tipica di un archivio parrocchiale, pur con alcune scelte personali e concordate con la Soprintendenza archivistica per il Friuli Venezia Giulia.

Sono state individuate 12 serie principali: 1) Documenti antichi, 2) Anagrafe ecclesiastica, 3) Protocollo, 4) Amministrazione della chiesa, 5) Beni della chiesa, 6) Fabbricati e terreni, 7) Carteggio, 8) Danni di guerra, 9) Attività parrocchiali, 10) Attività pastorali, 11) Documenti diversi, 12) Archivi aggregati.

Si è scelto di utilizzare per le unità archivistiche i titoli originali, fra virgolette, qualora fossero segnati.

Da specificare che l’archivio storico della Chiesa Parrocchiale di S. Maria Assunta per le serie Amministrazione della chiesa e Fabbricati e terreni consta anche delle carte della chiesa filiale di Sant’Antonio sopra il monte: infatti questa piccola chiesa aveva camerari e un’amministrazione propria fra i secoli XVI e XIX, confluita poi in quella della chiesa parrocchiale.

Si è scelto per alcune sottoserie di procedere in maniera molto analitica, creando ulteriori divisioni: come nel caso dei contratti (all’interno della serie Amministrazione della chiesa) in cui vengono diversificate le diverse tipologie di contratti trovati, o nella serie Fabbricati e terreni: sono stati suddivisi tutti i lavori a seconda delle diverse epoche. Le serie più consistenti sono proprio queste: da una parte per la ricchezza e continuità di carte e registri legati alla contabilità della chiesa (nonché tutta una parte relativa al beneficio, ai rapporti con i coloni e ai contratti), dall’altra per una consistente documentazione relativa sia a progetti non realizzati che a lavori effettuati, che coprono un arco di tempo che va dalla prima metà dell’Ottocento ai tempi più recenti.

All’interno della serie Beni della chiesa si trova un notevole elenco di reliquie.

Interessante è la serie del Carteggio, nella quale troviamo i rapporti della parrocchia con le principali autorità civili tra cui l’Imperial Regio Capitanato Distrettuale, la Podesteria (poi Municipalità), la Reggenza Militare di Medea (nel periodo della prima guerra mondiale), il Commissariato Civile, l’Imperial Regio Giudizio Distrettuale di Cormons, e organi religiosi come l’Ordinariato Vescovile. All’interno di questa corposa serie si trovano anche scritti inerenti vertenze giuridico – amministrative tra la chiesa parrocchiale e alcune famiglie nobili locali, tra le quali i de Franzoni e i Colloredo – Mels, e importanti carteggi di alcuni parroci, come don Francesco Ulian, che si è dedicato alla scrittura di un diario di guerra, e del cardinale Guido del Mestri, grande diplomatico vaticano e benefattore della comunità; da sottolineare la presenza di scritti teologici e spirituali autografi di alcuni parroci. Vi sono poi carte di singoli sacerdoti della parrocchia stessa e alcuni carteggi di carattere vario come quelli della Società Cooperativa Allevatori Bovini, della Bonifica fiume Versa, della Realizzazione strada del Monte di Cormòns e un interessante carteggio relativo alle vaccinazioni o le spiegazioni, anche in lingua friulana, per combattere il flagello della pellagra o, in italiano, contro il colera asiatico.

C’è poi una serie legata ai Danni di guerra con le relative ricostruzioni o le richieste di indennizzo.

Segue la serie Attività parrocchiali sulle messe fondate.

Abbastanza consistente quella seguente, Attività pastorali, che si è scelto di suddividere secondo i diversi organi pastorali, siano essi l’Ufficio Liturgico Diocesano, il Consiglio Pastorale Parrocchiale, il Decanato di Cormòns, l’Ufficio catechistico diocesano, il Centro Missionario Diocesano, l’Azione cattolica e così via. Vi sono poi documentate le visite pastorali, il Sinodo diocesano degli anni 1995-1999, le diverse associazioni e le festività e feste liturgiche.

La serie Documenti sulla storia della Chiesa contiene articoli di giornale (in forma di Cronaca) e un insieme di carte varie e molto interessanti tra cui una Sentenza in favore del curato di Medea, in lingua latina, del 1602-4, il Rapporto sull’epidemia di colera del 1831, l’Annuncio matrimoniale tra i nobili d’Attimis Maniago e Del Mestri del 1897, la Cassa Agricola operaia e così via.

Infine, negli Archivi aggregati, la Confraternita del vero ed efficace amore del prossimo e quella dell’Apostolato della Preghiera col Cuore SS.mo di Gesù, ma soprattutto una poderosa parte riguardante le Scuole elementari popolari: i documenti coprono un arco di tempo che va dal 1783 al 1919 e buona parte di essi, suddivisi per anno, seguono un registro di protocollo presente, per cui si è potuta mantenere la suddivisione originaria. Vi è anche una sottoserie dedicata agli elenchi dei fanciulli e delle fanciulle con relative valutazioni finali dal 1847 al 1865.

Archivio Storico della Chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo di Chiopris e delle Chiese di S. Zenone di Viscone al Torre e di S. Leonardo in Medeuzza

Le carte si presentavano (eccetto gli atti matrimoniali preparatori suddivisi in fascicoli per anno) senza alcun ordine precostituito, anzi molto frammentate: un numero considerevole di buste è stato il frutto di un riordinamento generale effettuato senza tenere conto dei nessi archivistici e dell’organizzazione originaria dell’ente: sciolto il vincolo è stata creata allora una suddivisione cronologica ma anche quella molto approssimativa.

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Una volta iniziato l’esame delle carte si è proceduto in alcuni casi alla schedatura carta per carta, per il carattere spesso miscellaneo dei raggruppamenti. Si è deciso di produrre un inventario molto analitico per la necessità di dare al fruitore una visione quanto più specifica e dettagliata possibile delle preziose documentazioni archivistiche esistenti. L’archivio consta di 370 unità archivistiche per 5 metri lineari e l’ordine delle serie rispecchia la struttura tipica di un archivio parrocchiale, sono state individuate 11 serie principali: 1) Anagrafe ecclesiastica, 2) Protocollo, 3) Amministrazione della chiesa, 4) Beni della chiesa, 5) Lavori, 6) Fondazioni Sante Messe, 7) Danni di guerra, 8) Carteggio, 9) Attività pastorali, 10), Documenti diversi, 11) Archivi aggregati.

Il fondo della Chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo di Chiopris e delle Chiese di San Zenone di Viscone e di San Leonardo in Medeuzza si presentava in modo completamente disordinato in un luogo non idoneo alla conservazione, eccetto i registri anagrafici che erano collocati nell’ufficio parrocchiale e conservati in modo ordinato.

L’archivio oggi riordinato, che occupa una superficie lineare di 10 metri circa per 629 unità di conservazione, è ben custodito al pianoterra della casa canonica.

La documentazione esistente ha inizio nel XVI secolo con il “Catapano”, anche detto “Registro obituario”, databile con certezza dal 1598, come detto ampiamente nell’introduzione storica.

Le carte si presentavano (eccetto gli atti matrimoniali preparatori per alcuni anni) senza alcun ordine precostituito, anzi molto frammentate: una notevole quantità di fascicoli sono stati frutto di un riordinamento generale effettuato senza tenere conto dei nessi archivistici e dell’organizzazione originaria dell’ente: sciolto il vincolo sono state create allora suddivisioni per mittente o titolazioni molto generiche che non corrispondevano spesso con il contenuto, e al cui interno la documentazione copriva anche interi secoli.

Una volta iniziato l’esame delle carte si è proceduto in alcuni casi alla schedatura carta per carta, per il carattere spesso miscellaneo dei raggruppamenti. Si è deciso di produrre un inventario molto analitico per la necessità di dare al fruitore una visione quanto più specifica e dettagliata possibile delle preziose documentazioni archivistiche esistenti.

L’ordine delle serie rispecchia la struttura tipica di un archivio parrocchiale, pur con alcune scelte personali e concordate con la Soprintendenza Archivistica per il Friuli Venezia Giulia.

Vista la presenza del fondo della Chiesa filiale di Viscone e di Madonna di Strada sono state individuate 21 serie principali: 1) Catapano, 2) Anagrafe ecclesiastica, 3) Protocollo, 4) Instrumenti, 5) Amministrazione della Chiesa di Chiopris, 6) Amministrazione della Chiesa di Viscone, 7) Beni della Chiesa di Chiopris, 8) Beni della Chiesa di Viscone, 9) Beni della Chiesa di Madonna di Strada, 10) Fabbricati e terreni Chiopris, 11) Fabbricati e terreni Viscone, 12) Fabbricato Chiesa Madonna di Strada, 13) Carteggio, 14) Danni di guerra Chiopris, 15) Danni di guerra Viscone, 16) Attività parrocchiale, 17) Cimitero, 18) Attività pastorale Chiopris, 19) Attività pastorale Viscone, 20) Documenti diversi, 21) Archivi aggregati.

Si è scelto di utilizzare per le unità archivistiche i titoli originali, fra virgolette, qualora fossero segnati.

Si è scelto per alcune sotto serie di procedere in maniera molto analitica, creando ulteriori divisioni: come nel caso dei contratti (all’interno della serie Amministrazione della chiesa) in cui vengono diversificate le diverse tipologie di contratti trovati, o nella serie Fabbricati e terreni in cui stati suddivisi tutti i lavori a seconda delle diverse epoche.

All’interno della serie Beni della chiesa si trova un notevole elenco di reliquie.

Interessante è la serie del Carteggio, nella quale si trovano i rapporti della parrocchia con le principali autorità civili e un importante carteggio dedicato ai parroci.

C’è poi una serie legata ai Danni di guerra con le relative ricostruzioni o le richieste di indennizzo.

Segue la serie Attività parrocchiali sulle messe fondate.

Abbastanza consistente quella seguente, Attività pastorali, che si è scelto di suddividere secondo i diversi organi pastorali: Visite pastorali, Consiglio Pastorale Parrocchiale, Carteggi, Consiglio Parrocchiale Affari Economici, Consiglio presbiterale, Feste e festività liturgiche e Sala parrocchiale, Libri degli avvisi.

La serie Documenti sulla storia della Chiesa contiene articoli di giornale (in forma di Cronaca) e un insieme di carte varie e molto interessanti: omelie in friulano, scritti teologici, indulgenze, privilegi pontifici, elezioni politiche, diari parrocchiali e notizie storiche sulle varie chiese.

Infine, negli Archivi aggregati si trova un interessante carteggio scolastico.

Archivi Storici della Curia Arcivescovile di Udine,
Fondo “Rosazzo”

Il Fondo “Rosazzo” si compone delle carte facenti parte dell’antico archivio dell’Abbazia di San Pietro di Rosazzo e di quelle afferenti alla Mensa Arcivescovile di Udine dalla sua costituzione, nel 1751, fino al 1936. Si tratta effettivamente di un solo archivio in quanto ad un primo ente, l’Abbazia, è succeduto nei diritti e nell’amministrazione dei beni, cui sono stati devoluti per intero, un secondo ente, la Mensa appunto.

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In più dopo il 1753 l’Abbazia e la Mensa erano ulteriormente accomunate ed unite dal fatto di avere entrambe alla loro guida la stessa persona: l’arcivescovo di Udine cui spettava di diritto il titolo di abate. Un solo archivio dunque per due enti distinti sì ma senza cesure nette: la già ricordata “zona grigia” consente all’archivio dell’Abbazia di chiudersi e a quello della Mensa di aprirsi, almeno fino alla fine del XVIII secolo: l’unità del Fondo è così mantenuta inalterata. Dunque un complesso documentario di grossa mole, di notevole continuità cronologica e di rilevantissima, se non unica, importanza storica. Considerando l’Abbazia si tratta pur sempre dell’archivio sedimentato in quasi tre secoli di attività di una giurisdizione feudale, per di più ecclesiastica. Le carte sono state prodotte nell’esercizio delle giurisdizioni civile e criminale e nell’amministrazione del patrimonio fondiario. Pochi documenti riguardano invece la giurisdizione in spiritualibus nel suo complesso. L’intervento di riordinamento e inventariazione è stato deciso e finanziato dall’Istituto “Pio Paschini” per la Storia della Chiesa in Friuli. Il Fondo è costituito da ben 1.417 unità archivistiche schedate tra registri non condizionati. Esse sono state racchiuse in 305 buste numerate, distribuite sugli scaffali Compact nn. 12 e 13 del deposito degli Archivi Storici. Le unità, in gran parte voluminosi registri, che eccedono le dimensioni di una normale busta sono state lasciate sciolte sugli scaffali. Data la diversificazione tra registri, fogli sciolti e fascicoli (contenenti molti fogli sciolti) nel complesso si può parlare di un totale effettivo di documenti difficilmente quantificabile, ma comunque aggirantesi su qualche migliaio di singoli pezzi. Data l’enorme mole del complesso documentario si è deciso allora lo scaglionamento dei lavori in tre successivi lotti: 2006, 2007 e 2008. Prima dell’inizio del riordino la situazione era la seguente. Registri, rubriche, quaderni, fascicoli, fogli sciolti, tabelle varie e stampati erano indifferentemente distribuiti entro 297 buste senza alcun apparente criterio di ordinamento. Si era scelto soltanto di dare alle antiche carte dell’Abbazia una sorta di prima cernita, comunque parziale ed incompleta, probabilmente per identificarle sommariamente e magari tenerle pronte per un successivo intervento. Soltanto le serie, ora sottoserie, archivistiche dei Libri Civili, dei Rottoli d’amministrazione e in parte delle Filze (atti civili ed amministrativi) e dei Processi criminali erano identificabili e reperibili con una certa Rosazzo 15 sicurezza, essendo loro dedicati apposite buste con etichetta scritta e collocata sul dorso. Il contenuto delle buste non identificate era invece estremamente eterogeneo: processi criminali accanto a registri contabili, lettere, memorie e quant’altro; dal punto di vista cronologico si saltava indifferentemente dal Cinque al Seicento e al Settecento e viceversa. Era stata inoltre attuata una separazione tra le carte dell’Abbazia e quelle della Mensa arcivescovile con il risultato però di un grado di attendibilità piuttosto precario. Questo stato di cose pare essere un’eredità antica dovuta sia ad atteggiamento verso il loro archivio assunto dagli stessi responsabili dell’Abbazia, che già allora curavano solo in parte il complesso delle carte da essi stessi prodotte, sia alle vicende successive alla chiusura dell’Abbazia e alla costituzione e vita della Mensa. Non sembra estraneo nemmeno un retaggio contemporaneo: i momenti e le circostanze in cui le carte, ormai prive di ogni valore giuridico immediato furono destinate alla conservazione perpetua e giunsero nei depositi dell’Archivio Storico della Curia. Parimenti l’intervento novecentesco privilegiando la separazione fisica e dimostrando una certa tendenza all’ordinamento per materia, non ha tenuto alcun conto di eventuali segnature o di serie già formate nei secoli trascorsi e ha reso così definitivamente impossibile la ricostruzione esatta di come poteva essere in origine l’archivio utilizzato dall’Abbazia. La struttura dell’archivio non si è poi certamente mantenuta inalterata nel corso dei secoli della sua esistenza, visto il complicarsi delle mansioni svolte dai vari funzionari e il crescere della mole complessiva delle carte, soprattutto nel corso del Seicento. Questo deve avere necessariamente imposto ai suoi responsabili un continuo adeguarsi alle situazioni contingenti di volta in volta presentatesi. In senso negativo ha sicuramente influito anche il fatto che sono state inevitabili le lacune e le sottrazioni subìte dal patrimonio documentario qui esaminato, soprattutto per i documenti più antichi. A complicare ulteriormente le cose alcune carte facenti parte dell’archivio dell’Abbazia erano state assegnate arbitrariamente ad altri fondi sempre conservati presso gli Archivi della Curia. Mancava infine qualsiasi strumento di corredo coevo al materiale: elenchi, inventari, rubriche ecc. Anche l’archivista arcivescovile e storico della Chiesa mons. Gugliemo Biasutti, che per primo visionò il Fondo, presumibilmente tra gli Anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, non produsse alcun ausilio alla consultazione, se si fa eccezione di alcune schede di studio e delle glosse sparpagliate qua e là sulle carte. Si rendeva così necessario un intervento che procedesse per tappe fino alla redazione di un inventario finale, unito ad una ricollocazione logica e fisica di tutte le unità archivistiche. Si è deciso di affrontare dapprima i documenti dell’Abbazia, opportunamente separati da quelli della Mensa. Allora si è proceduto alla schedatura delle unità pertinenti alle attuali sottoserie Libri civili e Rottoli d’amministrazione, le più antiche e facilmente identificabili. Del resto esse da sole Rosazzo 16 potevano costituire un buon punto di partenza per definire il quadro, ancora parziale ma già valido, del complesso delle competenze dell’Abbazia negli àmbiti della giurisdizione civile e dell’amministrazione dell’ingente patrimonio fondiario. Il tutto ha portato all’elenco analitico costituente il primo lotto di lavori. Il secondo lotto di lavori, analogamente, ha visto incentrarsi l’attenzione sulla giurisdizione criminale con i conseguenti schedatura e riordino dei verbali dei processi criminali e dei relativi repertori delle sentenze nonché delle sottoserie Filze e Rosazzo civili. Il tutto per armonizzare quella che sarebbe stata l’organizzazione definitiva da dare all’archivio e queste parziali ma ancora valide, suddivisioni ad esso dati a suo tempo da mons. Biasutti27: si sono mantenute infatti inalterate le succitate partizioni ma con i necessari aggiustamenti (cronologici) e integrazioni di nuovi materiali via via rinvenuti. Durante i lavori di riordino è subito emerso anche l’insieme di carte proprio della giurisdizione in spiritualibus. La distinzione tra le competenze (e le relative carte) proprie delle giurisdizioni in spiritualibus, in civile e in criminale e la gestione del grosso patrimonio fondiario hanno alla fine dato origine alle omonime grosse serie. Sono così confluiti in esse, stavolta come sottoserie, i materiali già schedati nelle suddette partizioni dei Libri civili, dei Rottoli d’amministrazione e dei Processi criminali. Accanto a queste anche le serie Raccolta normativa civile ed ecclesiastica, Abati, Carteggio, Oggetti diversi28. Dunque si sono individuate, almeno di fatto, serie documentarie coerenti e valide per costruire una struttura logica dell’archivio abbaziale il più possibile vicina all’originale, tenuto conto della storia dell’ente e della sua mission, del suo funzionamento interno e delle informazioni che mano a mano emergevano dai documenti. Parallelamente sono stati ricercati ed individuati documenti pertinenti al Fondo Rosazzo ma raggruppati in altri fondi degli Archivi Storici. Il terzo e ultimo lotto di lavori ha fatto prendere in esame tutti i documenti della Mensa già appunto separati dalle carte abbaziali con grado di attendibilità stavolta univoco e sicuro. Sono stati assunti come principali criteri distintivi innanzitutto l’intestazione riferibile alla Mensa delle singole unità, le loro caratteristiche estrinseche, le eventuali segnature presenti riconducibili ancora alla Mensa. Inoltre nei casi dubbi è stato considerato il criterio cronologico, sì abbastanza sfumato ma di una certa validità dal punto di vista storico, del 1798. Da qui infatti spariscono le carte abbaziali e le carte prodotte dalla Mensa assumono importanza preponderante. Schedare le carte della Mensa ha rappresentato un percorso più agevole. Moltissime unità già munite di segnatura originale hanno inmfatti consentito la ricostruzione di alcune serie originali e quindi il raggruppamento in ciascuna di esse delle carte pertinenti. Le serie originali sono state integrate da serie dedotte dall’esame delle rimanenti carte, prive di segnatura e rinvenute sistemate a casaccio nelle buste. È stata così 27 Degli interventi di mons. Biasutti è stato dato conto nell’introduzione a ciascuna serie. Rosazzo 17 disegnata la struttura dell’archivio della Mensa con elementi di riscontro concreto maggiori rispetto a quanto visto nel caso dell’Abbazia. Non sono state rinvenute unità pertinenti alla Mensa presso altri fondi archivistici. In coda alla parte dedicata alla Mensa è stato collocato il piccolo fondo della tipografia arcivescovile “Arti Grafiche Cooperative Friulane”, attiva negli Anni Venti – Trenta del Novecento. I risultati dei lavori sono stati coordinati e riversati su supporto informatico utilizzando il software Arianna 2.0 realizzato dalla Hyperborea s.c.a.r.l. di Pisa, già in dotazione agli Archivi Diocesani e basato sugli standards internazionali ISAD (G)29 e ISAAR (CPF)30. Di ogni scheda sono stati indicati i seguenti elementi: numero progressivo di ciascuna unità; titolo originale o attribuito; tipologia di materiale (busta, fascicolo, sottofascicolo, registro ecc.) e condizionamento attuale; minuziosa descrizione del contenuto; datazione (certa o attribuita); segnalazioni di danni. È stato poi compilato un indice dei nomi di persona, ente e luogo. Contestualmente si è proceduto al ricondizionamento e alla cartellinatura dei documenti entro le vecchie buste, sostituendo quelle non ritenute più idonee ad una loro corretta conservazione.

Antica Cancellaria del Comune di Cividale del Friuli,
Fondo Lorenzo D’Orlandi

Fondo di manoscritti Lorenzo D’Orlandi – Antica cancellaria del Comune di Cividale del Friuli, edizione critica a cura di Luca Olivo, 2017

Il fondo archivistico in questione è il frutto del lavoro del canonico cividalese, e per più di 30 anni anche direttore del Museo Archeologico cittadino, mons. Lorenzo D’Orlandi (1798 – 1877).

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Questi, su incarico del comune, presumibilmente tra il 1844 ed il 1846 in una prima ripresa e nel 1867, in una seconda, raccolse ed inventariò circa duemila documenti (sotto forma di pergamene, fascicoli, singoli fogli sciolti, brani da registri ecc.) che all’epoca egli ritenne di significativa importanza per la storia della sua città. L’ecclesiastico esaminò tutto l’antico archivio comunale cividalese ed appuntò la sua attenzione su carte e pergamene dei secoli del Medioevo e dell’Età Moderna per un’arco cronologico complessivo che va dal 1176 al 1813. Lorenzo D’Orlandi fece predisporre 28 robuste scatole di ottima qualità in cartone e legno, confezionate su misura. I contenitori, di ottima qualità e nonostante il logorio di un secolo di rimaneggiamenti e studi, sono ancora più che adeguati alle esigenze di una corretta e sicura conservazione dei documenti. In ciascuna scatola il D’Orlandi racchiuse un numero variabile di fascicoli da lui stesso preparati servendosi di ottima carta. In ogni fascicolo inserì i documenti originali sia cartacei che pergamenacei; sulla copertina d’ogni fascicolo tracciò un numero progressivo, un titolo che sostanzialmente coincide con la datazione cronica e topica ed un breve regesto. Per maggior comodo suo e dei futuri fruitori del materiale il D’Orlandi compilò due registri manoscritti, tuttora in ottime condizioni di conservazione, con l’indicazione di quanto elaborato. I due registri a volte presentano, però, forti incongruenze tra quanto su essi riportato e quella che è la situazione effettiva dei documenti. Il D’Orlandi, colto ecclesiastico e capace funzionario pubblico, nonché uomo del suo tempo, pose l’accento sull’eccezionalità del singolo documento dando il massimo risalto alle pergamene in quanto tali. In seconda battuta privilegiò i personaggi protagonisti della storia friulana ed italiana dell’Età di mezzo e della prima Età moderna (papi, dogi, imperatori, signori, patriarchi di Aquileia, altri illustri ecclesiastici) che ebbero contatti epistolari con la città di Cividale. Nelle scelte del D’Orlandi hanno trovato posto anche i protagonisti della vita cittadina ed il funzionamento degli organi di governo comunali sia da punto di vista amministrativo che giudiziario, data l’indistricabile commistione tra i due poteri che ha caratterizzato i secoli dell’Ancien Regìme. In ogni caso il D’Orlandi aveva sempre ben presente quanto poteva reperire a titolo di riscontro entro l’opera di Bernardo Maria De Rubeis Monumenta Ecclesiae Aquileiensis commentatio historicochronologico-critico illustrata. Il materiale è stato disposto in ordine cronologico crescente ma con alcune eccezioni. I binari entro i quali il D’Orlandi ha affrontato il suo compito sono chiaramente quelli ottocenteschi: eruditi, positivisti e peroniani (dall’archivista Luca Peroni che proprio nel secolo XIX inaugurò il metodo di riordinamento archivistico per materia causando guasti tuttora incombenti, soprattutto a Milano). Purtuttavia il D’Orlandi ha abbozzato una suddivisione, almeno rudimentale, per serie documentarie analoghe a quelle che oggi sono la prassi archivistica corrente e, fatto certamente più rimarchevole, ha saputo, pur rimestando “qua e là” dentro tutto l’archivio storico comunale, scegliere i documenti che più potevano colpire l’immaginario erudito, appunto, e quasi “ossianico” dell’epoca (vedasi su tutti la pergamena del patriarca Ulrico II di Treven del 12 febbraio 1176 o il documento, pure membranaceo, con cui l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo il 1 agosto 1353 concede a Cividale la possibilità di fondare un università). Nel contempo, comunque, il D’Orlandi ha offerto una panoramica su documenti che all’occhio dei moderni, a più di 170 anni di distanza, possono sembrare altamente significativi per intraprendere percorsi di ricerca storica modulabili dal locale al nazionale ed internazionale e/o focalizzabili su determinate problematiche (ad esempio la storia economica o quella istituzionale) avendo come oggetto comune Cividale, il suo territorio e le relazioni che nei secoli la città ha intrecciato con altre realtà comunali o statuali (vengono alla mente le moltissime ducali dei dogi di Venezia, pergamenacee nella stragrande maggioranza dei casi). Dunque, de facto, il D’Orlandi ha ricostruito, magari inconsapevolmente e a fronte di inevitabili lacune, quella che era la cancelleria del comune di Cividale così come funzionò tra il XII ed il XVIII secolo. Del resto la cancelleria, spesso affidata a funzionari competenti e dotati di vasta cultura giuridica e di una notevole organizzazione archivistica, era un ufficio irrinunciabile per il funzionamento delle istituzioni statuali o comunali di Ancien Regìme: dalla piccola giurisdizione su un remoto villaggio alle grandi corti del papa, di Spagna, di Francia ecc. La cancelleria era l’ufficio attraverso cui l’ente si metteva in contatto con l’esterno e si manteneva funzionale al suo interno regolamentando, con la corrispondenza, i suoi organi dirigenti e le sue magistrature. Sul finire degli Ottanta del Novecento fu compilato uno scarno elenco cartaceo. Proprio questo strumento di corredo, ormai obsoleto, si è rivelato di sempre minore utilità a fronte della mole ed importanza dei documenti della raccolta e delle richieste sempre più precise e mirate da parte degli studiosi. Si è dunque reso necessario un nuovo intervento sulle carte D’Orlandi. Il lavoro è stato il frutto di una sinergia tra il comune di Cividale del Friuli, proprietario del fondo in questione, la Società Filologica Friulana, sempre attenta a scoprire e valorizzare fonti storiche ed archivistiche che riguardano da vicino il Friuli ed i suoi centri più importanti, e chi scrive. Del resto lo stesso innegabile valore storico del fondo, pur impostato con limiti metodologici (è stato elaborato da un erudito del XIX secolo) e quantitativi (il D’Orlandi non ha potuto “vedere tutto”), richiedeva una sua valorizzazione attraverso un lavoro analitico impostato secondo criteri moderni così da rendere maggiormente fruibile una notevole mole di documentazione riguardante un lungo periodo della storia di Cividale. Più sotto sono illustrati i dettagli operativi e gli obiettivi che si ritiene di aver conseguito alla fine dell’opera. Dettagli dei lavori svolti Premesso quanto sopra e che l’integrità fisica dell’Archivio è stata considerata imprescindibile nel senso che la sua stessa struttura attuale costituisce una testimonianza storica oggettiva, i lavori si sono articolati come segue: 1. Redazione di un profilo biografico di Lorenzo D’Orlandi. 2. Introduzione storico – archivistica che spiega le caratteristiche del fondo D’Orlandi. 3. Suddivisione, virtuale, del materiale in tre serie archivistiche come voluto dal D’Orlandi stesso. Ogni serie (denominazioni originali: Serie Prima dal 1176 al 1453, Serie Seconda dal 1443 al 1797 ed Appendice dal secolo XI al 1813) è stata descritta e ne sono stati tratti gli estremi cronologici. Per ogni serie, per motivi pratici, è stato prodotto un apposito file MS Word/PDF. 4. Elencazione e descrizione analitica dei 2 registri e delle 28 scatole che compongono il fondo. Essi sono stati considerati come unità archivistiche complesse. 5. Enumerazione e descrizione analitica, con regesto, dei singoli fascicoli contenuti in ogni scatola e dei singoli documenti (complessivamente quasi 2.000) racchiusi in ogni fascicolo. 6. Indicazione degli estremi cronologici di ciascun fascicolo e ciascun documento. Essa era già stata predisposta dal D’Orlandi ma si sono rilevati alcuni lapsus o errori di varia natura. Nei casi dubbi come questi o in assenza di elementi validi la datazione è stata desunta (con le indicazioni del caso debitamente segnalate). 7. Segnalazione di “oggetti notevoli” eventualmente presenti entro i documenti. 8. Indicazione dello stato di conservazione di ciascuna carta o pergamena. 9. Redazione per ciascuna serie di un indice dei nomi di persone, enti e luoghi dedotti dall’esame dei singoli documenti. 10. Per i vari personaggi ricorrenti indicazione, quando reperita, degli estremi riguardanti le loro vicende sul Dizionario Biografico degli Italiani e/o sul Nuovo Liruti. Dizionario Biografico dei Friulani. 11. Redazione di un sintetico elenco topografico. Per ogni scatola e per ogni fascicolo si è compilata un’apposita scheda-documento informatica. Ogni scheda è corredata di: numerazione progressiva, così come stabilita dal D’Orlandi ma con eccezioni debitamente segnalate; il necessario riferimento ad antiche segnature, se presenti; la tipologia documentaria (fascicolo, foglio sciolto, pergamena ecc.); l’intitolazione originale desunta dalla copertina del fascicolo di riferimento; la descrizione del contenuto; la segnalazione di danni; la datazione topica e cronica. Per il tutto si è proceduto secondo gli standards internazionali ISAD

Archivio di Stato di Trieste,
Fondo Cesareo Regio Consiglio Capitaniale delle Unite Contee di Gorizia e Gradisca – Contea di Gorizia,
Atti storici del Tribunale (1703-1809) (con docc. fino al 1833)

Il Cesareo Regio Consiglio Capitaniale delle unite Contee di Gorizia e Gradisca, conservato presso il Tribunale di Gorizia insieme con altri fondi risalenti all’amministrazione austriaca, fu consegnato all’Archivio di Stato di Trieste, non essendo ancora stato costituito l’Archivio di Stato di Gorizia. Attualmente all’Archivio di Stato di Gorizia si trovano: copia in microfilm (252 bobine) della documentazione dal 1754 al 1777 e pochi atti sparsi, raggruppati sotto la denominazione di “Atti storici del tribunale”, isolati nel corso del riordinamento del Tribunale civico provinciale di Gorizia.

Archivio di Stato di Venezia

L’Archivio di Stato venne istituito nel 1815 con il nome di Archivio generale veneto nella sede dei Frari.

Tra il 1817 e il 1822 furono trasferite nel nuovo Istituto le carte prodotte nell’arco di un millennio dagli uffici della Serenissima, fin dalle origini conservate a Palazzo Ducale, nelle Procuratie marciane o nei palazzi di Rialto, che in età napoleonica erano state trasportate in tre sedi distinte:
– gli archivi politici, che costituivano il nucleo principale, nella scuola grande di S. Teodoro,
– i giudiziari nel convento di S. Giovanni Laterano;
– i demaniali o fiscali (finanziari) in un palazzo a San Provolo.
Ad essi si aggiunsero negli anni successivi anche gli archivi prodotti nel periodo napoleonico e dai governi austriaci.
Dal il 1866, vi affluiscono gli archivi prodotti dagli uffici dello Stato italiano che risiedono a Venezia.

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Il patrimonio, che si snoda per circa 80 km di scaffalatura, è costituito da oltre 800 fondi, all’interno dei quali si trovano talvolta centinaia di altri archivi, come avviene nel caso delle corporazioni di mestiere, delle confraternite e dei notai. Il numero dei fondi è destinato pertanto ad aumentare, mano a mano che procede la schedatura di queste fonti all’interno del sistema informativo.

L’articolazione dei fondi riflette ancora, in gran parte, il modo in cui le carte erano organizzate in seno agli uffici che le producevano. A questa struttura si è poi sovrapposta l’attività di ordinamento, inventariazione e conservazione svolta all’interno dell’Archivio di Stato nel corso di quasi due secoli.

Per quanto concerne la storia di Gradisca si indicano una ventina di serie, soprattutto corrispondenti all’epoca delle Guerre Gradiscane con le relative segnature archivistiche:

Collegio, Notatori Registri, 7 marzo 1615, c. 2r.;

Collegio, Risposte di fuori, b. 335 (3 novembre 1581), b. 446 c. 161r.;

Deliberazioni segrete, reg. 102 cc. 58r-v (30 aprile 1612);

Luogotenenza della Patria del Friuli, b. 340 (17 novembre 1790);

Senato, Dispacci, ambasciatori, Germania, b. 7 (2 dicembre 1615), b. 47 (29 marzo 1613, 26 aprile 1613, 18 maggio 1613, 9 giugno 1613, 28 agosto 1613, 17 novembre 1613, 6 gennaio 1614);

Senato, Dispacci dei rettori, Udine e Friuli, b. 3 (13 dicembre 1606), b. 6 (26 maggio 1613), b. 8 (13 marzo 1616);

Senato, Dispacci, Rettori Brescia, 4 giugno 1630;

Senato, Dispacci degli ambasciatori, Spagna, b. 44 nn. 12, 14, 15, 18, 21, 30, 35, 37;

Senato, Dispacci, ambasciatori, Germania, b. 48 (17 marzo 1614);

Senato, Dispacci, Palma, b. 13 (8-15 dicembre 1615);

Senato, Capi da guerra, b. 3 (5 maggio 1616);

Senato, Rettori, Friuli, b. 7 (15 dicembre 1615);

Senato, Terra, reg. 76 c. 167v, reg. 77 c. 26, reg. 86 c. 290, reg. 86, cc. 276v-277r (19 dicembre 1616), reg. 87 c. 131, reg. 89 c. 71v., reg. 91 cc. 247v-248;

Senato, dispacci provveditore generale da Terra e Mar, b. 51 (31 gennaio 1615), b. 52 (15 marzo 1616); b. 53 (7-14 giugno, 10 luglio, 21 luglio, 24 settembre 1616), b. 241 (17 agosto 1616, 3 settembre 1616), filza 63;

Senato, Secreta, Registri, n. 104, cc. 13r-v (9 aprile 1614), cc. 33v-34r (10 giugno 1614); c 77r (21 agosto 1614), n. 105 cc. 213v-214v (18 dicembre 1615), cc. 275v-276v (3 febbraio 1615), n. 106 c. 181v (17 maggio 1616);

Senato, Secreta, Dispacci dei rettori, Istria, filza 7 (20 marzo 1612, 18 giugno 1612-19 luglio 1612 e 29 gennaio 1614ss.), filza 9 (Pinguente 3 settembre 1612, 9 ottobre 1614, 27-30 novembre 1615, 1 dicembre 1615), filza 10 (Pinguente 7 aprile 1616, 14 aprile, 20 maggio 1616, 15 luglio 1616, 20 agosto 1616, 26 agosto 1616, 22 ottobre 1616, Montona 4 maggio 1616), filza 11 (Pirano 29 giugno 1616), filza 12 (Pinguente 27 maggio 1616)

Archivio di Stato di Vienna

Nell’Archivio di Stato di Vienna per il periodo di Gradisca nell’età moderna si indicato i seguenti fondi dedicati al passaggio della Contea dagli Asburgo agli Eggenberg:

Atti dei principi di Eggenberg: acquisto di Cheynow (principe Giovanni Ulrico 1623), acquisto della Capitanìa di Gradisca da parte del principe Giovanni Antonio (1647), Testamento del Principe Giovanni Cristiano (1719); Estratti del tavolare boemo sui beni della Principessa Maria Ernestina nata Schwarzenberg.

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Fürst Eggenburg’sche Akten: Kauf von Cheynow (Fürst Johann Ulrich, 1623) Kauf der Hauptmannschaft Gradisca durch Johann Anton Fürst Eggenberg (1647); Testament des Fürsten Johann Christian (1719); Auszüge aus der böhmischen Landtafel über die Güter der Fürstin Maria Ernestine geborene Schwarzenber.

Collocazione: AT-OeStA/HHStA SB HA Jaidhof Sinzendorf Familienakten V/17-1 – Richiede autorizzazione del proprietario

  • Giovanni Antonio principe di Eggenberg, autorizzazione del titolo “Principe Conte di Gradisca” per la discendenza maschile, poi sede e voto nelle assemblee dell’Impero e nelle diete locali

Eggenberg, Johann Anton Fürst von, Bewilligung des Prädikates: „Gefürsteter Graf von Gradisca” in seinem männlichen Stamme, dann Sitz und Stimme bei allen Reichs- und Kreisversammlungen

Collocazione: AT-OeStA/AVA Adel RAA 93.43

  • Perizia del governatore Michele barone Rabatta su come procedere alla liberazione dei cittadini arrestati dalla Repubblica di Venezia di parte imperiale, tra cui il vicario di Gradisca Baldinar Baio e il segretario del Principe di Eggenber Marcello Capuano

Gutachten des Statthalters Michael Freiherr von Rabatta, wie es mit der Loslassung der von der Republik Venedig und von kaiserlicher Seite verarrestierten Untertanen, darunter des Vikars von Gradisca, Baldinar Baio, und des Marcello Capuano, Sekretär des Fürsten von Eggenberg, gehalten werden solle

Collocazione: AT-OeStA/FHKA SUS RA 284.4.1

  • Gorizia e Gradisca

Görz und Gradiska

Collocazione: AT-OeStA/FHKA AHK HFIÖ HA G-15c

Archivio di Stato di Graz-Landesarchiv

A proposito di Gradisca al tempo dei Principi Eggenberg (1647-1717), presso l’archivio regionale della Stiria sono disponibili alcune fonti. Qui da noi si trovano conservati l’archivio famigliare degli Eggenberg e l’archivio familiare degli Herberstein (successori dei principi Eggenberg). Per entrambi i fondi Gradisca viene menzionata solo un paio di volte in modo esplicito negli indici. Bisognerebbe però verificare se le questioni amministrative generali coinvolgono anche Gradisca. Se la Sua richiesta riguarda anche il periodo di transizione precedente all’acquisizione da parte degli Eggenberg, sarebbe utile consultare anche i fondi della Camera (governo) di Corte dell’Austria interna, del Governo dell’Austria interna e gli Atti Meiller (archivista di Graz nel XIX secolo) per la città di Gradisca nel 1617 nonché l’archivio familiare degli Attems (urbari Gradisca 1644). Per il periodo successivo (1725) nel fondo del Vecchio Diritto Fondiario sono presenti fonti su Gradisca.

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L’archivio familiare degli Herberstein è ancora proprietà privata. La consultazione è subordinata a un’autorizzazione speciale da parte dei proprietari.

Nach Gradisca zur Zeit der Fürsten von Eggenberg (1647 bis 1717) gibt es im Steiermärkischen Landesarchiv einige Quellen. Hier befinden sich das Familienarchiv Eggenberg und das Familienarchiv Herberstein (als Rechtsnachfolger der Fürsten von Eggenberg). In beiden Beständen wird die Herrschaft Gradisca in den Verzeichnissen explizit zwar nur vereinzelt genannt, es wäre aber zu überprüfen, ob allgemeine Verwaltungsangelegenheiten auch Gradisca miteinschließen. Wenn für Ihre Fragestellung auch die Übergangszeit vor der Übernahme durch die Eggenberger in Frage kommt, wären auch die Bestände der innerösterreichischen Hofkammer, der innerösterreichischen Regierung und der Meillerakten (etwa zur Stadt Gradisca 1617) sowie des Familienarchivs Attems (Urbar Gradisca 1644) gewinnbringend. Für die Zeit danach (1725) gibt es im Bestand des Alten Landrechtes Quellen zu Gradisca.

Das Familienarchiv Herberstein steht nach wie vor in Privatbesitz.

Archivio di Stato di Trebon, per il Distretto di Český Krumlov

Český Krumlov (In tedesco Böhmisch Krumau o Krummau) è una città della Repubblica Ceca , in Boemia meridionale. Era nota come Krumau fino alla secondo conflitto mondiale, quando alla fine furono espulsi gli abitanti di lingua tedesca. Český Krumlov letteralmente significa “Krumlov Ceca (Boema)”; ne esiste infatti anche una morava. Český Krumlov è un centro culturale importante nella Repubblica Ceca.

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La costruzione della città e del castello iniziò verso la fine tredicesimo secolo, come guado del fiume Moldova, importante per gli itinerari commerciali. Nel 1302 sia la città che il castello entrarono sotto il controllo del casato dei Rosenberg. La maggior parte dell’architettura del centro storico e della parte adiacente al castello sono realizzate tra il Trecento e il Seicento. Il nucleo del centro storico è all’interno della curvatura a ferro di cavallo del fiume, con il castello dall’altra parte della Moldova. L’imperatore Rodolfo secondo acquistò Krumau nel 1602 e lo diede a suo figlio Giulio e successivamente l’imperatore Ferdinando secondo lo consegnò al casato feudale dei principi di Eggenberg, istituendo ufficialmente il Ducato di Krumlov. Dal 1719 al 1947 il castello fu posseduto dal casato degli Schwarzenberg che succedette agli Eggenberg.

GLI EGGENBERG

La famiglia Eggenberg – in origine Ekchenberg – nel XV secolo risiedeva a Radkersburg, una piccola città della Stiria al confine con la Slovenia.

Il primo di cui si hanno notizie è Ulrico Eggenberger, morto nel 1448. Commerciante di vino, si sa che nel 1432 era giudice a Graz e proprietario di case in questa città, dove aveva sposato Barbara Giebinger. Sotto i suoi figli Hans e Balthasar la famiglia si divise in due rami, Hans fondò il ramo di Radkersburg e Balthasar il ramo principale di Graz. Balthasar, morto nel 1536 ricevette in eredità dal padre una grande fortuna e continuò l’ attività di commerciante aumentando ulteriormente le sue ricchezze. Grazie allo stretto legame che riuscì a stringere con gli Asburgo, residenti a Graz, egli divenne maestro di zecca dell’Imperatore Federico III e per il suo talento di finanziere ebbe dal re d’Ungheria Mattia Corvino l’incarico di gestire le finanze reali.

Nel 1463 Balthasar acquistò una proprietà nei dintorni di Graz per farne la residenza di famiglia e iniziò la costruzione di quello che è oggi il Castello di Eggenberg.

Nel secolo successivo emerse la figura di Giovanni Ulderico (1568-1634) oscurando il prestigio del più anziano cugino Ruprecht che aveva svolto una brillante carriera militare distinguendosi nella lotta contro i Turchi.

Giovanni Ulrico, di religione protestante, studiò all’Università di Tubinga che era un centro del movimento riformatore. Poi viaggiò in Olanda, Spagna e Italia. Alla morte del padre, nel 1594, tornò a Graz e nel 1595 si convertì alla religione cattolica entrando subito al servizio della corte. Graz infatti era dal 1564 residenza degli Asburgo. Nel 1598 accompagnò Ferdinando nel suo famoso pellegrinaggio a Loreto e nello stesso anno, conquistata la fiducia della madre di Ferdinando, l’arciduchessa Maria, fece parte del corteo nuziale della figlia Margaretha e la scortò nel viaggio a Ferrara per il matrimonio con il re Filippo III; da qui proseguirono verso la Spagna sua futura patria. Ottenne nel 1598 anche il titolo di barone. nel 1623 aggiunse quello di Principe imperiale e nel 1628 quello di duca di Krummau. Giovanni Ulderico diventò uno dei principali consiglieri di colui che dal 1619 sarebbe diventato l’Imperatore Ferdinando II e lo seguì a Vienna. Ebbe un ruolo importante dal punto di vista diplomatico anche durante la guerra dei Trent’anni. Nel 1625 però torno a Graz e svolse il ruolo di governatore fino alla morte, avvenuta nel 1634. Al culmine del suo potere volle trasformare la casa di famiglia in un grande castello, ma non ne vide il completamento. Dal 1622 era entrato in possesso anche del vasto territorio e del castello di Krummau in Boemia. Questo comprendeva oltre 300 località su una superficie di 120 chilometri quadrati.

Nel secolo successivo emerse la figura di Giovanni Ulderico (1568-1634) oscurando il prestigio del più anziano cugino Ruprecht che aveva svolto una brillante carriera militare distinguendosi nella lotta contro i Turchi.

Giovanni Ulrico, di religione protestante, studiò all’Università di Tubinga che era un centro del movimento riformatore. Poi viaggiò in Olanda, Spagna e Italia. Alla morte del padre, nel 1594, tornò a Graz e nel 1595 si convertì alla religione cattolica entrando subito al servizio della corte. Graz infatti era dal 1564 residenza degli Asburgo. Nel 1598 accompagnò Ferdinando nel suo famoso pellegrinaggio a Loreto e nello stesso anno, conquistata la fiducia della madre di Ferdinando, l’arciduchessa Maria, fece parte del corteo nuziale della figlia Margaretha e la scortò nel viaggio a Ferrara per il matrimonio con il re Filippo III; da qui proseguirono verso la Spagna sua futura patria. Ottenne nel 1598 anche il titolo di barone. Nel 1623 aggiunse quello di Principe imperiale e nel 1628 quello di duca di Krummau. Giovanni Ulderico diventò uno dei principali consiglieri di colui che dal 1619 sarebbe diventato l’Imperatore Ferdinando II e lo seguì a Vienna. Ebbe un ruolo importante dal punto di vista diplomatico anche durante la guerra dei Trent’anni. Nel 1625 però torno a Graz e svolse il ruolo di governatore fino alla morte, avvenuta nel 1634. Al culmine del suo potere volle trasformare la casa di famiglia in un grande castello, ma non ne vide il completamento. Dal 1622 era entrato in possesso anche del vasto territorio e del castello di Krummau in Boemia. Questo comprendeva oltre 300 località su una superficie di 120 chilometri quadrati.

A Giovanni Ulderico succedette l’unico figlio, Giovanni Antonio I (1610-1649) che si era formato a Graz presso i Gesuiti e poi aveva fatto un lungo viaggio attraverso l’Europa. Tornato a Graz nel 1632 aveva continuato l’edificazione del castello di famiglia ma le sue residenze preferite erano il Palazzo Eggenberg di Sackstrasse a Graz e il castello di Krummau.

Fu al servizio dell’Imperatore Ferdinando III e si adoperò per ottenere quello che non era riuscito a suo padre, il diritto di seggio e di voto alla Dieta Imperiale.

Nel 1641 questa prospettiva divenne più concreta a condizione che egli entrasse in possesso di un territorio immediatamente soggetto all’Impero. Questo fu individuato nel Capitanato di Gradisca che dal 1511 faceva parte della Contea goriziana. Fu creata perciò la Contea principesca di Gradisca, sovrana e immediata, che fu acquistata per la somma di 315.000 fiorini e presa in consegna dal rappresentante del principe, Riccardo di Strassoldo, il 15 giugno 1647.

Giovanni Antonio I, morì però poco dopo, nel 1649, a Lubiana e lasciò la reggenza alla moglie, Annamaria di Brandenburgo.

Alla morte di Giovanni Antonio i figli Giovanni Cristiano (1641-1710) e Giovanni Sigfrido (1644-1713) erano ancora bambini. La reggenza della contea fu assunta dalla madre, principessa Annamaria.

Nel 1664  furono dichiarati maggiorenni con un decreto imperiale in modo da poter disporre subito dei loro beni. Tra i due si creò un profondo dissidio per la divisione del patrimonio e solo nel 1672 fu risolto con l’intervento dell’Imperatore. Al primogenito, Giovanni Cristiano, vennero assegnati tutti i beni in Boemia, nell’Alta Austria e nella Bassa Austria, mentre al secondogenito, Giovanni Sigfrido, spettarono quelli situati in Stiria e Carniola. La contea principesca di Gradisca fu amministrata da Giovanni Cristiano dividendo però gli utili (e anche il diritto di voto nella Dieta imperiale) col fratello. Le due effigi compaiono affrontate nel tallero gradiscano, la moneta che fu coniata dal 1651 al 1658.  con la legenda * IOAN . CHRIST . E IOAN . SEYF . S. R. IMP. PR : GRADIS; al rovescio c’è lo stemma comitale e la legenda * DVC : CRVM. ET. PRINC. AB. EGGENBERG. FRATES.  Giovanni Sigfrifo dedicò molte energie e risorse al completamento del Castello di famiglia di Graz e fu salvato dal dissesto finanziario solo grazie all’amicizia con gli Asburgo.

Per un’incredibile sequenza di sventure, anche il piccolo Giovanni Cristiano II, destinato ad assumere il governo della contea al posto del padre, morì  nel 1717 a soli tredici anni.

Lo vediamo in questo ritratto ufficiale che mette in evidenza tutte le sue prerogative principesche, a cominciare dall’abbigliamento e dagli elementi simbolici, e riporta sullo sfondo il castello di famiglia, nei dintorni di Graz.

Con la sua morte, avvenuta per un attacco di appendicite, si estinse il ramo maschile degli Eggenberg  e questo comportò la perdita della contea di Gradisca.  Le altre proprietà furono ereditate per via femminile dalla famiglia.

Per quanto concerne le documentazioni presenti nell’Archivio regionale di stato di Trebon, dipartimento di Český Krumlov ci sono documentazioni relativamente minime di documenti inerenti la storia di Gradisca in rapporto con la famiglia degli Eggenberg: si conserva un fondo archivistico chiamato “Odsoupené panství Gradisca” (Antico dominio degli Eggenberg e Schwarzenberg Gradisca) che contiene materiale storico del periodo 1622-1770 senza la presenza di un inventario moderno, lo stesso archivio di Stato sta procedendo alla digitalizzazione del materiale gradiscano.

Introduzione alla storia di Gradisca d'Isonzo, con Maria Masau Dan e Andrea Nicolausig

Intervento di Giulio Zanette, traduttore in tedesco dei testi del progetto su Gradisca d'Isonzo

Via Ciotti a Gradisca d'Isonzo con la chiesa della Beata Vergine dell'Addolorata, cartolina d'epoca
La "Piazza" (anche via del Municipio o via Ciotti) di Gradisca d'Isonzo, cartolina viaggiata d'epoca
Via del Municipio (via Ciotti) a Gradisca d'Isonzo in una cartolina viaggiata con data 1° aprile 1906
La chiesa della Beata Vergine Addolorata di Gradisca d'Isonzo dalla passeggiata lungo le mura, cartolina d'epoca
Il Duomo di Gradisca d'Isonzo, foto del 1914
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