Siamo nel maggio del 1915 e le ostilità tra Regno d’Italia e Impero austroungarico sono ormai iniziate. Alla rapidissima occupazione italiana del territorio del Goriziano segue l’immediato internamento, in varie località del regno, di una quantità notevole di civili. Sin dai primi giorni dopo il 24 maggio del 1915 vengono internati una sessantina di esponenti del clero curato “austriacante” del cosiddetto Friuli orientale e del Collio, sia di lingua italiana, sia di lingua slovena. Faranno ritorno solamente a guerra finita. Il meritorio libro di Camillo Medeot “Storie di preti isontini internati nel 1915”, quaderni di Iniziativa Isontina, racconta la storia di un numero considerevole di questi sacerdoti attraverso la ricerca documentaria e l’esame della stampa del tempo, nonché sulla testimonianza orale di monsignor Francesco Spessot, unico ancora vivente nel 1969, quando il libro venne portato alle stampe.

50 anni dopo, nel 2019, don Lorenzo Boscarol, poco prima della tragedia del Covid, decise di produrre una nuova edizione anastatica integrale dell’originale di Camillo Medeot, ma le alterne vicende dell’esistenza gli fecero vedere l’opera conclusa proprio pochi giorni prima del ricovero a causa del virus che lo avrebbe portato alla scomparsa. Fu una grande intuizione e un testamento spirituale questa riedizione della monografia di Camillo Medeot da parte di don Lorenzo Boscarol e come scrive nel 1969 monsignor Pietro Cocolin nella prefazione all’opera: “questo lavoro non intende riaprire solchi che furono fin troppo profondi nei tempi passati ma rendere omaggio alla verità ancora molto sconosciuta e ricordare tanti nostri sacerdoti che con esemplare fermezza sopportarono le catene, l’esilio e la dura prova del distacco dal popolo, colpito dalla guerra e dalle distruzioni, costretto ad abbandonare i paesi maggiormente esposti al pericolo e privati anche del loro vescovo costretto a lasciare Gorizia nel luglio 1915. Dopo oltre cento anni di pace per la nostra diocesi seguì un periodo di distruzione e di lutti”.

Camillo Medeot mette in chiaro fin da subito che questa pubblicazione vede la luce in un “momento di pace e di quiete che ha fatto dimenticare e superare le fazioni e le divisioni esistenti”. Scrive di una materia molto delicata, si muove in un “campo minato” ma nel 1969, l’allentarsi della guerra fredda, ha reso possibile dire cose che a lungo si sono dovute tacere e proprio in quel momento storico si è potuto, come scrive Liliana Ferrari nell’introduzione alla nuova edizione, “mettere in luce le figure di tanti sacerdoti italiani e sloveni della diocesi, le qualità morali che, trasparente il sottinteso, a lungo sono state se non messe in dubbio, sicuramente lasciate in ombra”. Camillo Medeot parla molto esplicitamente di un “lavoro demistificatorio, omaggio alla verità, dapprima troppo impunemente offesa, poi troppo a lungo taciuta”.

L’internamento di quei preti “austriacanti”, ai quali venne tolto tutto per molto tempo e che fecero ritorno in una diocesi completamente diversa, era un argomento vietato, sporcava l’“epopea luminosa” della liberazione dell’italico e regio esercito e poteva far sorgere domande e fornire argomenti scottanti a chi, in tempi non così lontani, aveva prospettato per Gorizia una collocazione statuale e politica molto diversa. Per Camillo Medeot era diventato essenziale invece parlare di quel periodo così grave e colmo di spine poiché si trattava finalmente di fare giustizia, scrive Liliana Ferrari, si faceva necessario “rivendicare l’onore di brave persone e degni sacerdoti nei cui confronti era stata compiuta una palese ingiustizia che attendeva ancora una riparazione”. Ci dice Camillo Medeot che fare chiarezza e mettere luce “non significa coinvolgere l’Italia intera ma solo quella ufficiale dominata da una borghesia inguaribilmente anticlericale”.

La stragrande maggioranza delle popolazioni locali e la totalità del clero erano leali cittadini austriaci, devoti alla Monarchia e all’Imperatore, di cui tutti possedevano intimamente una visione favolosa, deistica. Camillo Medeot è stato un Maestro per tutta la vita, e questo è visibile ad esempio nelle correzioni grammaticali che svolgeva con puntiglio sui diari storici delle Madri Orsoline di Gorizia, e prima di scrivere la storia del suo territorio aveva insegnato per una intera vita quella del farsi dell’unità d’Italia e in politica si era pronunciato apertamente contro l’autonomia regionale che minava fin nella profondità quella unità. Il Novecento ha imposto il valore dogmatico del modello dello Stato nazionale, i cui confini separano le lingue, e il linguaggio politico dalla metà dell’Ottocento aveva comportato ostilità fino a produrre un vero e proprio razzismo. Non che nel mondo austriaco, quello che viene spesso dipinto con il concetto di Felix Austriae, non ci fossero contrapposizioni, prima fra tutte c’era quella tra borghi, poi tra villaggi, tra persone e personalità e anche nel mondo cattolico le posizioni erano ben ramificate e si andava verso una nuova contrapposizione quella del “diverso nazionale”, notata anche dal Medeot: “sbaglierebbe di grosso chi credessi che essi non avessero preoccupazioni nazionali e assistessero inerti alla massiccia pressione degli slavi e alle insidiose manovre dei tedeschi”.

Con questi presupposti covava sotto la brace un nazionalismo feroce che sarebbe sfociato nel fascismo. Intanto il regio esercito entrava nei territori ereditari imperiali e chi ne fece le spese furono quei sacerdoti devoti dell’Austria che in brevissimo tempo furono internati nel territorio del Regno. Come ricorda Medeot in una pagina estremamente significativa della sua opera (pp.273-274), quando parla della figura di monsignor Giovanni Meizlik, parroco di Aquileia. Meizlik si era dimostrato cordiale e collaborativo con le truppe italiane ma ciò non gli valse la salvezza infatti venne internato il 27 giugno 1915 e monsignor Francesco Spessot, testimone oculare e vivente, racconta che: “l’arciprete di Aquileia era già stato arrestato una prima volta con quattro o cinque dirigenti di associazioni cattoliche verso i primi di giugno e poi rilasciato. Questo secondo arresto fu però definitivo. Quali le ragioni? Due secondo noi: l’ostilità degli irredentisti locali impersonata nel segretario comunale Ugo Pascoli (subito nominato sindaco al posto del cattolico – popolare Domenico Frattuz) e la necessità di lasciare libero il posto di arciprete a don Celso Costantini, parroco di Concordia, già segnalato per quell’incarico al Comando Supremo da Ugo Ojetti. Si trattò quindi di un provvedimento a freddo, non determinato da un clima di psicosi, e se pensiamo che la vittima aveva dato prove superlative della sua lealtà di nuovo cittadino d’Italia, i nostro giudizio sui responsabili di tale arresto non può essere che di severissima condanna”. Con queste affermazioni molto dure possiamo comprendere che in questa ingiustizia non c’era solo anticlericalismo e ignoranza ma anche invidie non troppo malcelate di un giovane carrierista (tra l’altro Meizlik aveva avuto buoni rapporti con Costantini, Medeot sostiene che erano amici) il quale si era macchiato di liste di proscrizione nei confronti dei cosiddetti austriacanti e, attraverso l’ausilio dell’amico giornalista e intellettuale Ugo Ojetti, tentava l’ascesa all’episcopato. Scrive sempre Medeot riguardo al rapporto tra Costantini ed Ojetti: “Il celebre scrittore e critico d’arte Ugo Ojetti, addetto al Comando Supremo con l’incarico specifico di tutelare le opere d’arte della zona occupata, accenna all’arciprete di Aquileia nella lettera alla moglie del 10 luglio 1915 con le seguenti parole: Il nome del prete d’Aquileia internato a Firenze e da sorvegliare è monsignor Meizlik. Il suo successore Costantini mi telefona entusiasta che sarà là lunedì”. Due settimane dopo (23 luglio) lo stesso Ojetti riscrive alla moglie: “Ancora non so risolvermi…Don Celso se lo merita. Mi divertirebbe nominarlo vescovo dopo averlo nominato parroco”. E Medeot conclude con un laconico “Ci sembra superfluo ogni commento”.

Il libro fa parte delle opere più significative del Goriziano ed altamente meritoria l’opera di riedizione anastatica che permette di cogliere anche la profondità e la modernità di un messaggio universale, il valore della giustizia.

Il Seminario arcivescovile di Gorizia in una cartolina del 1915, collezione privata