Si ringrazia per la gentile collaborazione Lucia Protto, curatrice del Centro.

Incastonato in una delle sette valli della Carnia, Sauris è uno di quei borghi alpini dove il tempo scorre diversamente, senza essere scandito dai ritmi frenetici della nostra quotidianità. Sarà per la posizione isolata – a un’ora e mezza di strada da Udine, due da Pordenone – o per l’altitudine – è il secondo comune più in alto in Friuli Venezia Giulia dopo Sappada – è immediata la sensazione di pace che si prova appena vi si giunge. Per arrivarci da Ampezzo si deve percorrere, tra gallerie scolpite nella roccia e stretti tornanti, la strada panoramica della Val Lumiei, costruita tra il 1857 e il 1947.

Ma l’atmosfera diventa ancor più suggestiva fin da quando si scorgono i suoi tetti, rigorosamente di legno, o le prima case della frazione La Maina rispecchiarsi sulla superficie verde smeraldo del lago su cui si affaccia. Un lago artificiale la cui diga venne eretta a scopo idroelettrico, lungo il corso del torrente Lumiei, tra il 1941 e il 1949: come se nemmeno gli eventi bellici della Seconda guerra mondiale avessero potuto scalfire il quieto vivere di questa valle.

Percorrendo le sue vie diventa subito evidente che c’è un rapporto speciale che lega Sauris con il legno. Visitare il Centro etnografico “S haus van der Zahre” è certamente il modo migliore per esplorare e approfondire quest’aspetto, fortemente connesso con la storia stessa del paese. «Il museo – spiega la curatrice saurana Lucia Protto – è una realtà nata nel 1993 per raccontare l’etnografia locale, le tradizioni, diventando un punto di riferimento sia per la comunità locale, sia per i turisti, sia per ricercatori e appassionati».

La curatrice Lucia Protto illustra il Centro Etnografico di Sauris ai redattori di Kadmos. Foto di Daniele Tibaldi

Quella saurana è solo una delle tante comunità particolari che costellano il Friuli Venezia Giulia. Dalla conversazione con la studiosa, però, si scopre che «l’identità locale, fino a settanta anni fa, è stata per molto tempo percepita come un peso, anche perché spesso oggetto di derisione da parte dei vicini, in particolare da Ampezzo, il principale punto di riferimento per gli scambi commerciali». Una particolarità che riguarda principalmente la parlata e le origini stesse di questa comunità, che affonda le radici nelle valli tra il Tirolo e la Carinzia nella metà del XIII secolo. La vallata rappresenta infatti una vera e propria isola linguistica germanofona, come conseguenza dell’occupazione da parte di alcune famiglie provenienti dalla Lesachtal e dalla Pusteria.

Una storia che spinge la curatrice del museo a proporre un’ipotesi interessante: «Queste migrazioni non erano affatto casuali, in qualche modo venivano pilotate. Credo non sia neanche tanto azzardato pensare che, a fornire quelle precise indicazioni, fossero gli stessi conti di Gorizia, anch’essi di origine germanica e che all’epoca dominavano anche il Tirolo». Una teoria, quella che lega Sauris alla contea di Gorizia, che può risultare plausibile solo in una terra straordinaria come questa, per secoli crocevia di popoli di lingue romanze, slave e germaniche.

La visita al Centro etnografico ha permesso anche di approfondire un altro elemento apparso fin da subito evidente nel paese: il rapporto con il legno. Questo materiale, infatti, si è rivelato fondamentale per la vita e l’economia dei saurani. In passato veniva utilizzato quasi per tutto, dalle tegole e le grondaie, all’affumicatura del prosciutto, oggi estesa anche alla trota e all’eccellente birra locale. Si scopre, così, che persino i chiodi erano fatti in legno, oltre a molti altri utensili utilizzati per i lavori di sartoria e di produzione artigianale. E sempre in legno sono le fantasiose maschere indossate per celebrare una delle tradizioni più antiche e sentite di questa comunità: il Voschankh, il Carnevale saurano che ancora oggi si festeggia subito dopo l’Epifania.

Una caratteristica maschera del Voschankh, il Carnevale di Sauris. Foto di Daniele Tibaldi

Solo dopo una visita al museo è possibile apprezzare in maniera più consapevole i tesori di una vallata che, se oggi conta intorno alle 400 anime, in passato non ha mai superato il migliaio di abitanti. Tra questi c’è senz’altro il santuario di Sant’Osvaldo, che domina Sauris di Sotto e che fu meta di pellegrinaggio fin dal 1515. Nel suo presbiterio è possibile ammirare lo splendido Flügelaltar (altare a portelle) di Michael Parth da Brunico. Intagliato integralmente nel legno, dorato e dipinto, costituisce uno splendido esempio di stile tardo gotico tedesco.

Questo è solo una delle tante ricchezze un tempo nascoste e quasi dimenticate dagli stessi saurani, che fino a non molto tempo fa erano molto più attratti dal “moderno”. «È tra gli anni Sessanta e Settanta – racconta Protto – che si è cominciato a prendere coscienza del valore della propria diversità, con la riscoperta della lingua, delle tradizioni, dei canti e dell’architettura». La svolta, anche a livello conservativo, è arrivata negli anni Ottanta: «Lo sviluppo del progetto “Sauris”, curato dall’architetto Pietro Gremese, e l’aiuto, a livello legislativo e finanziario, arrivato da politici regionali come Adriano Biasutti e Giorgio Santuz sono stati determinanti per il recupero e la valorizzazione della borgata».

Un pregevole dettaglio con la Pietà del Flügelaltar, “altare alato” a portelli apribili, della chiesa di Sant’Osvaldo, opera in stile tardogotico ultimata nel 1524 da Michele Parth di Brunico. Foto di Daniele Tibaldi

Questi elementi consentono oggi di guardare con maggiore speranza alla vera sfida che questa vallata si trova a fronteggiare: il contrasto allo spopolamento. Una tendenza che accomuna un po’ tutte le comunità montane sparse per l’Italia. Nel Saurano, però, non mancano attività produttive in grado di esportare le proprie eccellenze ben oltre i confini nazionali, come il prosciutto a Indicazione geografica protetta o la Zahre Beer. Non solo. Stanno avendo un certo successo anche iniziative economiche alternative in ambito turistico, come l’Albergo diffuso, che promette un’esperienza di soggiorno a stretto contatto con le usanze e le tradizioni della comunità locale.