Ad un secolo dalla sua fondazione, avvenuta nel 181 a.C., Aquileia è una città in rapida espansione, forte della sua posizione strategica di raccordo tra il Mediterraneo e i territori dell’Europa centro-orientale: fiorente porto fluviale e snodo di alcune delle più importanti strade consolari dell’Italia Settentrionale. Un crocevia di genti, merci, culture e saperi, che nel loro transito contribuiscono ad accrescere e ad arricchire la colonia nord-adriatica che di lì a breve sarà una delle più popolose metropoli dell’Impero.

È in questo clima di fervido sviluppo che un ricco committente dà avvio alla costruzione di una fastosa dimora, destinata a diventare una delle più grandi e lussuose abitazioni private dell’Italia settentrionale. Varcarne la soglia significa entrare a far parte di un mondo vivo e frenetico, fatto di bellezza e di sfarzo ma anche dell’incessante attività quotidiana dei suoi abitanti e dei suoi ospiti. Da un porticato esterno, sul cardine ovest, si accede al vestibulum e poi all’atrium dotato di una vasca centrale, l’impluvium, e di un pozzo in pietra. L’atrium era il cuore delle abitazioni romane, in questo caso il nucleo originario di una costruzione già esistente in età repubblicana: con un effetto molto scenografico esso consente l’accesso al tabliunm mosaicato, adibito al ricevimento dei clientes e ai rapporti di affari. Dall’atrium diparte anche un lungo corridoio su cui si affacciano numerosi ambienti di soggiorno, tra i quali il triclinium, il luogo dedicato alle cene e alle riunioni conviviali, e il cubiculum, la stanza da letto, anch’essa impreziosita da mosaici. Sul lato opposto si trova il grande oecus, la sala di rappresentanza in grado di accogliere numerosi ospiti, pavimentata con un mosaico bianco delimitato da cornici nere. In fondo al corridoio si apre il viridarium, il giardino interno con fontana circondato da un portico sorretto da colonne. Ancora, ambienti di pregio come la sala pavimentata con uno splendido mosaico raffigurante un cervo e cane dalle fauci spalancate, e poi le cucine, le stanze di servizio, e infine altre quattro locali commerciali che si aprono sul cardine occidentale: vi hanno sede botteghe e tabernae come ad esempio quella di un panettiere, con la macina e il forno per la panificazione.

Il nome del proprietario di questa incredibile dimora è probabilmente Tito Macro, come risulta dall’incisione su un peso di 10 libbre (T. MACR) usato nelle transazioni commerciali all’interno della casa. Si sa poco o nulla di lui, ma dopo quasi duemila anni, le vestigia della sua meravigliosa abitazione continuano a lasciare a bocca aperta i suoi ospiti. La sua domus è infatti oggi protagonista di un innovativo progetto di riqualificazione e valorizzazione archeologica che ne ha minuziosamente ricostruito coperture e volumetrie, rendendo possibile non solo un’esperienza di fruizione incredibilmente realistica per i visitatori, ma anche un importante avanzamento – a sua volta predisposto a ulteriori implementazioni – nello sviluppo di un parco archeologico vivo e integrato nel tessuto sociale e urbanistico di Aquileia.

“Si tratta dell’unica abitazione di età romana scavata integralmente nella città altoadriatica”, spiega Cristiano Tiussi, archeologo e direttore della Fondazione Aquileia, che ha promosso il progetto di recupero della domus finanziato dalla Fondazione dalla Regione Friuli Venezia Giulia e mediante il contributo di ALES S.p.A.: “si pensi a quante centinaia di mosaici di case private siano state restituite dal sottosuolo aquileiese (quasi ottocento, addirittura, secondo un censimento dell’Università di Padova edito nel 2017), e tuttavia di nessuna finora si era potuto ricostruire nella sua interezza la planimetria. Grazie alle indagini condotte dall’Università di Padova, sotto la direzione di Jacopo Bonetto e dei suoi collaboratori, siamo finalmente in grado di conoscere la fisionomia e l’articolazione di una domus aquileiese, riprendendo e completando il lavoro di archeologi di assoluto rilievo come Giovanni Brusin e Luisa Bertacchi.”

“La valorizzazione della Domus di Tito Macro” aggiunge Cristiano Tiussi “ha rappresentato per la Fondazione, e certo rappresenterà anche in futuro, una sfida costante e appassionante nel coniugare la realtà dei resti archeologici con la loro ‘narrazione’, sia sotto il profilo delle scelte architettoniche adottate per la copertura e per la restituzione delle antiche strutture, sia sotto il profilo del racconto, o meglio dei racconti, che la domus, le sue trasformazioni, la vita al suo interno, il rapporto con la città antica possono ispirare.”

 

“L’attività svolta dall’Università di Padova ha portato alla luce un’intera dimora, non una qualunque, ma una casa ‘ad atrio’: la prima rinvenuta ad Aquileia, un sito noto per i numerosi resti di edilizia domestica, nella maggior parte costituiti però da frammenti o porzioni difficilmente comprensibili. Di qui la decisione di affrontare una tra le sfide più grandi e originali: riproporre nella sua interezza e nel suo ingombro spaziale una casa romana, realizzando una copertura che rendesse palese anche al grande pubblico l’articolazione degli spazi e offrisse un’esperienza sensoriale diversa, ma non meno emozionante, di quella che si può vivere attraverso le ricostruzioni virtuali. Un’esperienza che, ci auguriamo, possa contribuire a fare dell’antica colonia romana, divenuta poi capitale della Venetia et Histria, non solo il luogo del cuore per gli aquileiesi, ma una tappa obbligata per tanti turisti” hanno dichiarato la Prof.ssa Francesca Ghedini e il Prof. Jacopo Bonetto direttori dei lavori di scavo per conto dell’Università di Padova.

“La valorizzazione della Domus di Tito Macro rappresenta un punto importante di un percorso che la Fondazione Aquileia segue da tempo, allo scopo di raggiungere una migliore fruibilità dei resti della grande città romana. L’obiettivo è rendere ‘parlanti’ i reperti archeologici e le grandi opere d’arte conservate ad Aquileia, aiutando la comprensione nel contesto originalissimo di una città che fu punto d’incontro della romanità con il mondo balcanico e con quello nordafricano e mediorientale. Confidiamo che la Domus di Tito Macro possa richiamare ulteriormente l’attenzione del pubblico, unendosi così ad altri due grandi edifici costruiti dalla Fondazione, l’Aula Meridionale e la Domus Episcopale, che attraggono ogni anno 60.000 visitatori ciascuno” ha dichiarato l’Ambasciatore Antonio Zanardi Landi, ex Presidente della Fondazione Aquileia.

“Abbiamo sostenuto con decisione questo importante progetto, perché conferma la capacità dell’Italia di essere leader nella valorizzazione dei beni culturali. Con la ricostruzione dei volumi della Domus di Tito Macro il visitatore avrà modo di immergersi in modo ancora più coinvolgente nella realtà del tempo e coglierne al meglio le caratteristiche. Ales conferma così il suo impegno a supporto del MiBACT per la realizzazione di progetti volti alla valorizzazione e al miglioramento delle condizioni di fruibilità del patrimonio del Paese” ha dichiarato Mario De Simoni, Presidente e AD di Ales S.p.A.

“Si tratta di un’impresa particolarmente lunga e complessa ma anche appassionante, frutto di un lavoro corale, di riflessioni, discussioni e scelte non banali, mirate a trovare un equilibrio tra tutela, restauro e ricostruzione filologica, leggibilità e godibilità. Il risultato consente di apprezzare in modo nuovo i resti archeologici, restituendo loro atmosfere, luci e volumi” ha dichiarato Simonetta Bonomi, Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia.

 

 

 

 

 

 

 

 

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