Primavera del 1579. A Grado comparve Pier Francesco Malipiero, inviato speciale per indagare su due spinose questioni.

La prima riguardava un avvenuto sequestro di otto manzi sui lidi tra Primero e Sdobba.

La seconda riguardava l’agire scellerato del Conte di Grado, Marco Sanudo.

Ma chi era quest’uomo incaricato di effettuare tali delicate investigazioni?

Malipiero era già stato nel 1571 capitano della galea Nostra donna di Venezia alla battaglia di Lepanto dove aveva cercato con una manovra brillante di aggirare il dispositivo dell’ala destra dello schieramento turco. L’azione non era riuscita in quanto aveva dovuto desistere per portare soccorso alla Capitana di Agostino Barbarigo, accerchiata e prossima all’affondamento.

Durante la diversione era stato ferito rischiando la morte. Fu poi al fianco dell’Ammiraglio da Mar, e poi doge, Sebastiano Venier, ricoprendo negli anni successivi diverse cariche, specie quella di delegato ai confini con i domini austriaci.

Il Malipiero giunse a Grado nel febbraio-marzo 1579, stando ad una missiva inviata a Venezia nella tarda estate del 1580 che attestava la sua presenza sull’isola da quindici mesi.

Basilica di Sant'Eufemia e Battistero di Grado

In quei mesi vi era stato uno sconfinamento di mandriani fiumicellesi sui lidi veneti della zona di Sdobba, chiaramente appartenente ai domini del Dogado veneto.

La cosa non era una novità.

Grado era sempre stata zona di confine, a parte nel Quattrocento, quando Venezia, conquistando il Friuli nel 1420, conquistò la Patria del Friuli.

Con le Guerre d’Italia, però, gli austriaci di Massimiliano I d’Asburgo erano riusciti a conquistare Gradisca, Marano e ampie zone del Friuli, tanto che tutto l’entroterra vedeva una presenza a macchia di leopardo di feudi e castelli in salda mano austriaca.

Fin al 1542 le cose rimasero abbastanza tranquille, anche se già nel corso del Quattrocento e del primo Cinquecento vi erano state delle deboli rivendicazioni della Comunità di Fiumicello su alcune terre, o sarebbe meglio dire acque, vista la caratteristica lagunare o protolagunare, posta tra Primero, il Thiel, l’Averto e la Sdobba.

Nel 1542 però, la riconquista veneziana di Marano, sbocco commerciale del Goriziano e del Capitanato di Gradisca verso l’Adriatico, ad opera dell’avventuriero Beltrame Sacchia, scompaginò nuovamente il delicato equilibrio confinario friulano.

Per ritorsione il Capitano di Gradisca Nicolò della Torre rioccupò manu militari Aquileia, tornata nel 1535 al Patriarca Grimani, di cui sembrava assodato il coinvolgimento nella vicenda maranese. Ma la vera svolta nei rapporti tra Grado, Fiumicello e Gradisca si ebbe nel 1561 con la nomina al Capitanato di Gradisca di Giacomo d’Attems che godeva di grande credito presso le corti asburgiche, arciducale e imperiale.

Da quel momento gli sconfinamenti e gli atti violenti nei confronti dei gradesi nella zona ricompresa tra Primero e Sdobba, foce dell’Isonzo, divennero sempre più frequenti.

L'Isonzo, verso la foce - Foto di Romeo Pignat

Lo scopo era chiaro.

La delimitazione confinaria tra le pertinenze veneziane e quelle arciducali, essendo zone umide, caratterizzate da ampie barene solcate da numerosi canali e rii, detti ghebi, la cui morfologia, per effetto delle maree e di altri eventi meteomarini, cambiava di anno in anno, dava la possibilità all’Attems di rivendicare come di sua pertinenza zone sempre più prossime a Primero e Sdobba dove era sua intenzione costruire un vero e proprio porto, in sostituzione a quello perduto di Marano.

Dalla perdita di questo, infatti, le merci da e per l’Istria asburgica pagavano importanti dazi a Venezia, penalizzando Gradisca e Gorizia nell’approvvigionamento di legnami, formaggi, pietra, olio e grani.   

Il tentativo dell’Attems, attraverso documenti di possesso molto dubbi, dietro la cui redazione c’era  il noto giurista Giovanni Garzoni, era di dimostrare che le terre utilizzate dai fiumicellesi spettavano al suo Capitanato, reclamando perfino ampie zone di mare da Sdobba a Duino dove i gradesi pescavano in regime di monopolio.

Insomma, tentava di usucapirne la proprietà attraverso diritti di pascolo conquistati violentemente. Non era raro che per far spazio a tali mandrie venissero bruciate pantiere e casoni di gradesi ben dentro i territori di chiara pertinenza veneta.

Di tutti gli abusi dell’Attems a Grado e in altre zone friulane, venne informato l’arciduca Carlo durante la sua visita a Gorizia nel 1567 dall’ambasciatore veneto Girolamo Lippomano. La cosa costò all’Attems un duro rimprovero.

Senza andare nello specifico, basti sapere che le violenze continuarono finché, nel 1579, su ordine del Conte Marco Sanudo, vennero sequestrati dei manzi a bovari di Fiumicello.

Il Malipiero, al cui fianco vi era Nicolò Coppo, già segretario di Girolamo Da Mula, Conte di Grado prima del Sanudo e anch’esso vicino al Venier, scoprì che in realtà i manzi sequestrati non erano otto ma nove e che quello mancante era stato divorato dai marinai schiavoni durante il loro trasporto a Grado.

Non solo. Ma che a Grado ne erano giunti ben meno di otto in quanto alcuni erano stati uccisi e sepolti sui lidi contravvenendo all’ordine del patron della barca armata Lusich.

Venne a conoscenza, poi, che il Sanudo era in preda a manie persecutorie, sostenendo che volessero avvelenarlo. A riprova di ciò faceva annusare ai visitatori, con evidente scandalo, la propria urina e le proprie feci che a suo dire sapevano di tossego.

Scoprì che il Sanudo non faceva riscuotere il giusto dazio sull’Isonzo ma si faceva corrispondere dai due ai cinque soldi per ogni barca passante per la Sdobba a titolo personale di tangente.

Malipiero, informata Venezia, rispedì il Sanudo a Venezia, a cui fu renuntiato il reggimento, divenendo per concessione dogale Provveditore di Grado, tanto che l’Attems, nelle lettere lo cita come Comes Gradi.

Malipiero si oppose all’Attems e, facendosi spedire opportuna documentazione da Venezia risalente al tardo Trecento, dimostrò che le zone rivendicate erano di chiara pertinenza veneta, riportando in luce le pietre confinarie con Fiumicello, atterrate e lasciate in mezzo al fango e all’erba.

Un giorno però un certo Balandan, mercante, giunse a Grado informando che tra Aquileia e Gradisca aveva visto un centinaio di armati nascosti nei fossi tra canne e giunchi pronti ad assaltare Primero o Sdobba.

Malipiero non perse tempo.

Informando il doge, convocò il Capitano delle milizie gradesi Taddeo Lardi, comandandogli di indagare cosa stava tramando l’Attems.

Lardi si portò a Monfalcone, cittadina veneta, dove diede incarico ad una persona fidata di andare a Gradisca. La spia, ad oggi rimasta ignota, riportò che a Gradisca ben duecento archibugeri si addestravano al tiro, dimostrando apertamente la possibilità di venire impiegati per la conquista militare della foce dell’Isonzo. La fortezza, poi, stava venendo implementata con l’erezione di nuovi terrapieni. L’Attems forse presagiva lo scoppio di una guerra con Venezia.

Malipiero allora chiese al doge, Nicolò Da Ponte, l’arrivo di cento archibugi, morioni, polvere da sparo e munizioni.

In quei giorni poi arrivarono anche diverse centinaia di uomini per lo scavo già preventivato di canali sui quali, attraverso interramenti, i fiumicellesi avevano creato dei guadi.

Svanito l’effetto sorpresa, l’Attems desistette ma per un anno il Malipiero rimase a Grado ad occuparsi delle varie delicate questioni del luogo, come la riscossione dei dazi e la difesa dell’abitato dalle ingiurie marine.

Le violenze dell’Attems durarono fin al 1590, anno della sua morte. Aveva addirittura tentato di scavare un canale dall’Isonzo alla laguna di Grado per addolcirne le acque e far morire i pesci, costringendo i gradesi ad abbandonare il paese per poterlo più agevolmente occupare.

Dopo di lui vi furono, quindi, altre violenze, sconfinamenti e rivendicazioni, solo in parte regolate da una terminazione del 1635. Si dovette aspettare però la terminazione Harrsch-Donà del 1750-56 per avere finalmente una pacifica composizione delle vertenze confinarie nella zona.

Il paesaggio d'acque verso la Laguna di Grado