Piazza Italia, tra le più vaste del Friuli e cuore di Maniago.
Foto di Romeo Pignat

Raggiunta dalla pianura, magari per la prima volta, Maniago emana il fascino di un’isola, luogo a sé separato per chilometri dal resto del Friuli non da un mare, ma dai prati della Comina prima e dal vasto spazio steppico dei Magredi poi: un paesaggio così stranamente silenzioso e dilatato, che non sembra far parte del nostro Paese. Questo senso di dilatazione, la piccola cittadina pedemontana se lo porta in dote anche nella centrale piazza Italia, tra le più ampie del Friuli: un luogo dove converge, diluita con discrezione, la storia di Maniago. Da qui si apre uno scorcio sul quasi appartato Duomo di San Mauro Martire, tra le più eleganti testimonianze tardo-gotiche della nostra Regione, e qui s’impone la monumentale facciata del Palazzo d’Attimis-Maniago, edificato in varie fasi tra XVI e XVIII secolo, e che proprio sulla piazza esibisce le sue parti più antiche, come la loggetta cinquecentesca e la coeva facciata caratterizzata dall’affresco del pittore veneto-friulano Pomponio Amalteo, con un possente Leone marciano che tiene saldamente sotto la zampa destra lo stemma nobiliare dei conti d’Attimis-Maniago. Il messaggio non lascia dubbi sui rapporti con la Serenissima e introduce allo “spirito di frontiera” di questa cittadina.

Il Duomo tardogotico di San Mauro e il Palazzo d’Attimis Maniago, con il Leone marciano affrescato da Pomponio Amalteo e, sullo sfondo, il diruto Castello di Maniago.
Foto di Romeo Pignat

Basta varcare la soglia del complesso del Palazzo, comprendente vari annessi, per chiarirci le idee. Oltre si spalanca la visione di un parco all’inglese di sette ettari affiancato da un giardino all’italiana, cui fa da scenario il monte Jôuf che da qui si eleva repentinamente a 1224 metri, e sulle cui pendici si scorgono la chiesetta di San Giacomo e i ruderi del Castello di Maniago, eretto per volontà del Patriarca di Aquileia intorno all’XI secolo. Questa potente sintesi paesaggistica dice molto sulla natura del luogo, le cui radici sono friulane, la cui storia e la cui economia sono state improntate dall’incontro con la civiltà di Venezia e con la pianura, e la cui gloria manufatturiera è legata indissolubilmente alle montagne che la sovrastano e all’acqua prealpina del torrente Colvera, che spalanca una forra spettacolare a poco più di un chilometro da piazza Italia e da secoli continua ad alimentare la creatività locale con la sua energia. Si può dunque dire che Maniago è insieme città di pianura, di montagna e di acqua. Si può anche aggiungere che ha un’anima friulano-veneta, capace di coniugare “istinto” fabbrile e vocazione commerciale. Si può, senza dubbio, concludere che almeno dal XIV-XV secolo Maniago è la “Città dei coltelli”, annoverata tra le grandi capitali europee della lavorazione delle lame (e dei manici, come aggiungerebbero giustamente i geniali artigiani maniaghesi) e capace di risorgere molte volte da periodi di crisi e cambiamenti epocali, come araba fenice. A Maniago si forgia il ferro dai tempi del Patriarcato di Aquileia e già nel Quattrocento si cominciarono a fabbricare armi per la Serenissima: allora, e per molto tempo a venire, l’attività fabbrile era dispersa in tanti piccoli battiferri alimentati dalle acque del torrente Colvera.

Il Battiferro Beltrame, da anni dismesso e ultima testimonianza dell’antica attività fabbrile artigianale.
Foto di Romeo Pignat

Tra XIX e XX secolo Maniago visse la sua grande rivoluzione economica: il passaggio da una dimensione di lavoro artigianale a un sistema di produzione sempre più industriale. Simbolo di quest’epoca il  Co.Ri.Ca.Ma., Coltellerie Riunite di Caslino e Maniago, il primo grande “stabilimento” della città, fondato nel 1873 e che ha visto avvicendarsi tra le sue mura intere generazioni e centinaia di uomini e donne, e oggi ospita l’affascinante Museo dell’arte fabbrile e delle coltellerie.

Intanto, nel corso del Novecento, i manufatti tradizionali furono gradualmente affiancati o sostituiti da nuovi prodotti: i rinomati set di coltelli per cucina, pinze e forbici per la cura personale, strumenti odontoiatrici e chirurgici, utensili in acciaio per il giardinaggio e il tempo libero…

Una sezione del MAFC-Museo dell’Arte Fabbrile e delle Coltellerie di Maniago, che documenta la straordinaria versatilità produttiva dell’industria maniaghese.
Foto di Fabio Masotti, per gentile concessione del MAFC

Negli anni del boom economico, con questi nuovi mercati Maniago visse un periodo di crescita, affermandosi soprattutto in Italia, con digressioni meno rilevanti in altri Paesi europei.

Già dagli anni Novanta e a cavallo del nuovo millennio, le prospettive di lavoro mutarono rapidamente. Calo della domanda interna e concorrenza spietata cominciarono a mettere in crisi soprattutto le aziende più grandi e strutturate. Ancora una volta la Comunità produttiva di Maniago seppe adattarsi alle regole del gioco imposte dal cambiamento degli scenari economici, attrezzandosi con piccole imprese, altamente flessibili, con un livello di sofisticata artigianalità tecnologica e una spiccata propensione per il design, affidato a creativi di livello internazionale.

Questo cambio di paradigma ci porta alla Maniago di oggi, diventata la capitale mondiale dei coltelli sportivi, una specialità dove l’arte delle lame (e, ribadiamo, dei manici) si spinge ai massimi livelli di ricerca e sviluppo, nella direzione dell’industria 4.0, fino ad arrivare all’introduzione di tecnologie aerospaziali nei processi produttivi.

L’automazione ha un peso crescente nelle attività produttive delle aziende maniaghesi, molte ormai orientate verso il manufacturing 4.0.
Foto di Ruggero Lorenzi

Anche con il sostegno e la politica di marketing del Consorzio Coltellinai Maniago, un manipolo di imprese piccolo-medie sta conquistando, con la reputazione dei propri prodotti e dei propri marchi, un mercato planetario, che spazia dal Centro-Nord Europa al Medio ed Estremo Oriente e, in particolare, agli Stati Uniti, patria riconosciuta del coltello sportivo. Al Blade Show di Atlanta – manifestazione paragonabile agli Oscar per questo settore – le aziende di Maniago in quest’ultimo decennio hanno fatto incetta di premi, minando l’egemonia nordamericana.

In questo fermento produttivo e commerciale, tuttavia, qualcuno ha continuato a lavorare ascoltando il battito del tempo. In anni recenti, un artigiano come Fulvio Dal Tin ha realizzato mirabili riproduzioni di armi storiche ispirate agli originali o a documentazioni di esemplari scomparsi. Ha così creato opere uniche che hanno calcato le scene de La Fenice e del Teatro alla Scala e sono entrate nelle inquadrature di film leggendari quali Robin Hood e Braveheart.

Altri creativi e imprenditori – come Gabriele Centazzo, fondatore e anima di Valcucine – hanno scelto di vivere e di pensare in luoghi come la Val Colvera, proprio alle porte di Maniago, tra boschi, prati soleggiati e borghi arcaici dove il respiro della natura e l’incanto della bellezza sono ancora fonte d’ispirazione.

Il Maestro Fulvio Del Tin con una delle sue creazioni.
Foto di Ruggeri Lorenzi